Enrico Letta (2007)


da La Nuova Sardegna
6 ottobre 2007

"Sono ancora il più giovane,
lo scandalo vivente
del rinnovamento mancato"


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Enrico Letta sarà lunedì e martedì in Sardegna per la campagna elettorale del Partito democratico. Tra le diverse tappe ci sono le «sue» Porto Torres e Sassari. Candidato alla segretaria nazionale, Letta, che è anche sottosegretario alla presidenza del consiglio, lancia - mentre è in viaggio tra Sondrio e Lecco - un appello anche nell’isola: «Aprite ai giovani».

— Enrico Letta, come procede la”rivoluzione” dei quarantenni?
«Spero bene perché mi sono stancato di essere uno scandalo vivente».

— Lo”scandalo” dell’eterno giovane?
«Nel 1998, a trentadue anni, ero il ministro più giovane. Nel frattempo ho perso molti capelli e ho avuto due figli e mi sono ritrovato, a quarantuno anni, a essere il più giovane nel Comitato per il Partito democratico».

— Come fare la svolta?
«Mi sono candidato proprio per questo, per dire che la politica ha bisogno di rinnovamento, anche se la mia scelta mi ha appunto proiettato nel ruolo, scomodo, di pietra dello scandalo».

— Le sue liste, in effetti, sono le più giovani: l’età media è di trentacinque anni.
«Non si può dire altrettanto delle altre».

— Lei ha già detto che senza le sue liste il Pd avrebbe oggi una media di sessant’anni. Ma molti nel partito, forse per giustificare il mancato rinnovamento, dicono che sono i giovani a interessarsi poco di politica.
«E’ vero».

— E allora?
«Si interessano poco a”questa” politica».

— Qual è "questa" politica?
«La politica degli ultimi dieci anni è stata una politica che, una volta finite le ideologie, in Italia sono state sostituite con un surrogato di ideologie: l’anticomunismo e l’antiberlusconismo».

— Lo scontro che ci sta guidando la politica dal 1994.
«E che ha allontanato i giovani. Quelli cresciuti negli anni ottanta hanno voglia di una politica post-ideologica».

— Ha trovato riscontri in questa campagna elettorale?
«Sì. Nelle liste ci sono, tra gli altri, venticinquenni che stanno dando e soprattutto daranno un grande contributo».

— Su quali valori poggia la politica post-ideologica?
«Intanto la libertà. Una politica di persone libere. Libertà di consumi, secondo la linea indicata e tradotta in atti dal ministro Bersani. Libertà di mobilità, cosa che in Sardegna ha un carattere fondamentale, per superare l’immobilismo che blocca il Paese. Non è un caso che la Finanziaria dia risorse alle infrastrutture come da anni che non si vedeva. E poi c’è la natalità, il tema più importante: in Italia non si fanno figli».

— E i”bamboccioni”, come ha detto il ministro Padoa-Schioppa, restano nella casa dei genitori.
«Giudico infelice la frase di Padoa-Schioppa».

— Perché?
«Perché nei giovani non è la volontà che manca, sono le condizioni che spingono molti a non sposarsi e a non fare figli».

— Il lavoro precario?
«Certo, infatti vogliamo renderlo meno precario. Ma non c’è solo quello: penso alle case troppo care, agli strumenti di welfare per conciliare lavoro femminile e maternità, gli asili nido. Insomma, dobbiamo lavorare sui temi che spingono i giovani a non lasciare la casa dei genitori, a non sposarsi».

— Il tema di questo periodo sono i costi della politica. Che fare?
«In autunno discuteremo delle pensioni. E’ necessario che il primo atto del nuovo Pd sia la riforma delle pensioni dei parlamentari, che oggi sono un privilegio».

— Che tipo di intervento?
«Va semplicemente eliminata. La mia proposta è il fondo pensione volontaria».

— Come in tutti gli altri paesi?
«Dove l’erario non deve spendere un euro per le pensioni dei politici. Il politico che vuole la pensione versi una parte dell’indennità».

— C’è chi dice che sui costi della politica si fa molta demagogia.
«E siccome io non sono un demagogo faccio proposte concrete e, credo, di buon senso».

— Molti pensano di tagliare amministrazioni locali, province, comunità montane, altri rispondono che, prima, sarebbe meglio tagliare più in alto per dare l’esempio.
«E infatti io voglio iniziare dall’alto».

— Taglia taglia non c’è il rischio che nel campo politico restino solo i ricchi?
«Come Berlusconi e Grillo, il rischio c’è, serve attenzione».

— Grillo?
«A quanto si vede sembra proprio di sì».

— Lei è favorevole al confronto diretto tra i candidati alla segreteria nazionale?
«Sicuro. E mi auguro che si faccia. Mi sembra poco corretto che il confronto non ci sia».

— A proposito, come le è sembrato sinora il confronto a distanza?
«La mia campagna, a differenza di altre, è stata condotta
- mi pare di poterlo dire - con stile, senza attaccare gli altri. Ho preferito avere una foto in meno sul giornale per rinunciare al metodo dell’attacco personale agli avversari».

— Vede nuvole nere sul governo dopo la nascita del partito democratico?
«No. Il Pd nasce per aiutare il governo. Mi pare che le cose stiano andando bene».

— Ma le polemiche non mancano.
«E già. Non vedo saggio, ad esempio, che Veltroni si metta ora ad annunciare rimpasti di governo».

— Ci sarà il rimpasto o no?
«Io dico: oggi concentriamoci sulle primarie, poi si ragionerà su tutto il resto».

— E a proposito di futuro, cosa pensa delle alleanze variabili ipotizzate da Rutelli?
«Sono legato a una frase né mia né della mia tradizione politica, una frase di Berlinguer: prima i programmi poi gli schieramenti. Noi abbiamo fatto un programma per governare con questo schieramento, ovvio che si va avanti con questo schieramento».

— Che fare per evitare maggioranze troppo lunghe che fanno vincere ma rendono quasi impossibile governare?
«Dobbiamo rapidamente cambiare la legge elettorale, che è disastrosa».

— Non sarà facile.
«Anche perché il Pd, per le regole che si è dato, indebolisce la nostra contrarietà alla legge Calderoli.

— Si riferisce alle liste bloccate?
«Certo. Io ero contrario, ma Veltroni in primis e la maggioranza del Comitato dei 45 ha fatto questa scelta. Hanno criticato Calderoli, ma quando fa comodo hanno voluto usare lo stesso sistema».

— Per quale ragione?
«Per proteggere gli apparati di partito».

— Se toglie gli apparati, i partiti come se li immagina?
«Intanto non sono contro gli apparati in quanto tali, sono contro gli apparati sclerotizzati, dove non si vota mai in modo da poter tenere sempre lo stesso gruppo dirigente. E dall’altra parte è persino peggio, con Berlusconi che indica i dirigenti».

— Si dice: partito leggero, partito trasparente. Il suo modello?
«Il partito contendibile».

— Che significa?
«Che al suo interno un gruppo si candida su una linea e può, col voto, vincere e gestire il partito. Un partito in cui non vige la cooptazione. E poi le scelte vanno fatte nel territorio, i candidati per il Parlamento non possono essere decisi a Roma».

— Dopo queste primarie, chi vince farà maggioranza e chi perde farà opposizione o sarà inciucio?
«Guardi, non lo so. Stiamo creando un’assemblea costituente e penso che maggioranza e minoranza si debbano creae tema su tema».

— Veniamo alla Sardegna. Chi sostiene tra i candidati alla segreteria regionale?
«Ovviamente Soru».

— Perché ovviamente?
«Lo avevamo deciso sin dall’inizio».

— Ma Soru sostiene anche Veltroni.
«Ho capito le ragioni: sono legate alla speranza, che auspico, che vinca la sua candidatura».

— Ma lei c’è rimasto male?
«Capisco la sua equidistanza».

— Il sindacato sardo si è detto insoddisfatto dell’ultimo vertice a Palazzo Chigi.
«E’ una concertazione importante e stiamo proseguendo».

— Ma nel frattempo loro stanno organizzando una protesta. Anche perché si aspettavano risposte dalla Finanziaria.
«Io dico, però, che quello con il sindacato sardo è un lavoro straodinario per le peculiarità della Sardegna. Palazzo Chigi non fa certo concertazione con tutti i sindacati regionali».

— Risponde alla protesta?
«Il lavoro continua».

— Se l’aspettava?
«E’ naturale che il sindacato in una situazione regionale di trasformazione industriale ed economica sia presente e battagliero, ognuno fa la sua parte. Mi auguro che il sindacato ora ottenga un risultato importante per i loro assistiti e per noi nel referendum sul welfare».

— E’ ottimista?
«Sì».

— Innovazione, turismo, ambiente: la ricetta della Regione per la svolta dell’isola è sufficiente?
«Sono carte fondamentali per stare nel mercato della globalizzazione. Guardiamo il turismo: ormai esistono mille alternative alla Sardegna, quindi bisogna riuscire a costruire proposte originali, ben organizzate ed economicamente competitive».

— Lunedì sarà in miniera, nel Sulcis.
«Sì credo che sarà una tappa importante».

— Le miniere hanno un futuro?
«Ovviamente no».

— E quindi?
«La miniera è luogo che rappresenta una storia ma ancora oggi, se parliamo di energia e di carbone pulito, è una fonte energetica che non può essere buttata via. Per me sarà il luogo più emblematico per parlare della trasfarmazione in corso: lì ragioneremo di innovazione e futuro».

— Martedì, invece, sarà come un ritorno a casa.
«Sì, Porto Torres e Sassari sono le città della mia famiglia. E l’incontro all’università di Sassari sarà per me molto forte».

— Quale stimolo?
«Penso a un appello ai sardi per una maggiore apertura ai tanti giovani che hanno voglia di entrare in politica e di giocarsi le loro carte. Ad aiutarmi ci sono qui capilista di grande valore come Concetta Rau e Guido Melis, come Francesco Sanna e Marco Meloni».