Gavino Angius (2008)


da La Nuova Sardegna
21 otttobre 2008

«C’è tanto da fare, ma il Pd
è già un partito diverso»


Dopo la rottura coi socialisti e l’adesione al corteo del 25

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Dopo la fine della sua esperienza nella Costituente socialista, Gavino Angius si prepara alla manifestazione nazionale di sabato che sancirà, di fatto, la sua adesione al Partito democratico. All’ultimo congresso dei Ds l’ex senatore, particolarmente polemico con i vertici della Quercia, non aveva aderito al nuovo soggetto politico. «Ora - spiega - il partito è già diverso, anche se c’è molto da costruire». Durissima la polemica nei confronti di Di Pietro («è di destra e favorisce Berlusconi») che alle ultime politiche era stato preferito da Veltroni ai socialisti.

- Gavino Angius, rientra a casa?
«Non sono rientrato nel Pd. Quando nei giorni scorsi sono andato da Veltroni era la prima volta che mettevo piede nella sede del partito».

- Perché l’avvicinamento a un anno dallo strappo?
«Mi sono convinto che il Pd è quel che è, ma è quel che c’è nel Centrosinistra. Con il Pd si devono fare i conti per costruire una battaglia di opposizione e un’alleanza riformista».

- Lo spunto per il rientro è stata la manifestazione nazionale del Pd prevista per sabato. Come mai?
«L’associazione che presiedo, Democrazia e socialismo, ha deciso di aderire».

- Voglia di ritornare in piazza?
«No, non bastano le manifestazioni, c’è bisogno di qualcos’altro, dal progetto alla linea politica, c’è molto da fare».

- Perché ha detto che la fase socialista si è esaurita?
«La Costituente non ha mantenuto le premesse sulle quali era nata. Avevo aderito nel convincimento che servisse alla democrazia italiana una forza nuova, sottolineo nuova».

- E invece?
«Ho visto solo lo sforzo di ricomporre vecchie diaspore, magari con modelli del passato. Pensavo a qualcosa di simile ai partiti degli altri Paesi europei, aperti a personalità di diversa ispirazione culturale. Questo è mancato».

- Colpa anche delle elezioni anticipate.
«Sì, ma dal congresso dello Sdi in cui Boselli ha lanciato la Costituente è passato troppo tempo e quando sono state sciolte le Camere ci siamo trovati in difficoltà».

- Anche per la rottura con il Pd.
«Un atto sconsiderato compiuto per privilegiare un’alleanza con Di Pietro che ancora viene pagata a caro prezzo».

- E così si è realizzata la svolta storica dell’uscita della sinistra dal Parlamento.
«Quello italiano è diventato un bipolarismo quasi bipartitico».

- Le piace?
«Può non piacere, ma è così. Lo si voglia o no, lo spazio per l’agire politico di piccole formazioni si riduce enormemente, quasi non esiste più. Bisognava fare qualcosa».

- E lei cosa ha fatto?
«Democrazia e socialismo, con autorevoli esponenti dei Ds e della Margherita, alcuni già del Pd altri no, ha assunto l’iniziativa di riprendere il dialogo col Pd».

- Non lo si poteva fare subito?
«La situazione è cambiata. Ora nel Pd ci sono aree politiche diverse, le chiamano correnti, che hanno cambiato il volto del partito rispetto a un anno fa, quando il Pd era un monolite».

- Quale novità lo ha convinto di più?
«C’è una disponibilità tutta nuova, nell’ambito del progetto di unire il riformismo italiano, di riconoscere finalmente la cultura socialista e democratica come cultura che può convivere nel Pd. Prima certe parole non le sentivo».

- Problemi già risolti o l’unità è ancora lontana?
«Vediamo come e su che cosa trovare l’unità, ma intanto bisogna partire. Sappiamo che il Pd andrà a febbraio a una importante conferenza programmatica, sarà un momento progettuale decisivo».

- Quali sono i problemi più spinosi ancora aperti?
«Restano tre questioni, la laicità, la collocazione internazionale e la forma partito, non pienamente risolte nel Pd ma non mi sfugge che si sono fatti dei passi in avanti».

- Partiamo dalla laicità della politica e dello Stato. Cosa ancora non va?
«Va chiarita meglio l’assunzione della laicità come principio di democrazia che deve connotare il modo di essere del Pd».

- La collocazione internazionale?
«Si è fatto un importante passo in avanti. Autorevoli esponenti stanno elaborando il programma del socialismo europeo. Il paradosso è forse che anziché il partito lo stia scrivendo la fondazione Italianieuropei insieme ad altri dirigenti. Si è comunque fatto strada il convincimento di stabilire un rapporto con il gruppo del socialismo europeo».

- Ed eccoci alla forma partito. Cosa non la convince ancora?
«E’ il problema più difficile. Non solo sulla struttura organizzativa, ma sul carattere popolare del partito, il radicamento nel territorio, l’insediamento nella società, la sua capacità di ascolto e di ricezione di quell’opinione civica che altrimenti rischia di non avere voce».

- Nel partito a tutti i livelli il dibattito su questo punto è già abbastanza vivace.
«Sì, ma talvolta appare un po’ scomposto, un po’ chiuso e a volte poco democratico. Quando dico dialogare col Pd, vedo ancora queste contraddizioni, ma nel contempo sono consapevole del ruolo e del compito di questo partito. Del resto gliel’hanno dato gli italiani con il 32% dei consensi».

- Se l’aspettava la rottura tra Pd e Di Pietro?
«Non era difficile prevedere cosa sarebbe successo».

- La slealtà denunciata da Veltroni?
«Non solo questo. Ma perché c’è proprio una diversità genetica. L’Italia dei valori ha un connotato populista, è impregnata di giustizialimo, incarna riferimenti di valori cari più alla destra che alla sinistra. Per governare questo Paese anche la sinistra deve invece assumere una cultura e un tratto riformista».

- Sembra, però, più pagante elettoralmente l’opposizione gridata dell’Idv, mentre il Pd appare in crisi.
«Ma bisogna capire perché è in crisi e non solo da oggi».

- Secondo lei perché?
«Intanto non si è condotta una battaglia politica e culturale in modo aperto contro le posizioni della sinistra radicale nei due anni del governo Prodi. E la sinistra di piazza e di palazzo, che ci ha portato alla sconfitta, non è comunque la sola responsabile. Anche forze centriste, come l’Udeur e settori della Margherita ci hanno messo del loro».

- Il Pd cosa avrebbe dovuto fare?
«Affrontare a viso aperto la sfida di un Centrosinistra come forza di governo. E’ stato un difetto di riformismo, che ancora oggi è la causa di una linea politica che appare oscillante».

- Appare o è davvero oscillante?
«Prendiamo il rapporto con il Pdl. Chi non è d’accordo che le grandi riforme si fanno tra le grandi forze politiche e i grandi schieramenti? E’ una cosa ragionevole, direi ovvia. Ma l’Idv fa radicalismo politico e Di Pietro, che è uomo di destra, appare di sinistra, i suoi attacchi sembrano rivolti a Berlusconi ma di fatto colpiscono il Pd, facendolo apparire debole e
oscillante».

- Veltroni ha rotto con Di Pietro. Lei sarà d’accordo.
«Certo che ha fatto bene, lo ha fatto tardi, ma bene».

- Ha detto delle correnti. Lo scontro si vede, ma non è un danno?
«Se è una sordida lotta di potere, sì, perché allontanerà le persone e sarà la fine del Pd. Se è confronto culturale limpido e democratico, il Pd può invece attrarre nuovi cittadini ed elettori».

- Veltroni, D’Alema, Fassino. Con chi ha parlato?
«Con tutti, ma non solo con i vecchi compagni dei Ds, anche con i dirigenti provenienti dalla Margherita».

- Pronto a confrontarsi anche con la Binetti?
«Certo e volentieri. E’ giusto discutere di laicità, bioetica, eutanasia. Il confronto arricchisce il progetto. Ciò che interessa è cosa succede dopo, qual è la ricaduta».

- Cosa pensa della situazione nel Pd sardo?
«Ho sentito che c’era un po’ di confusione, ma non ne so nulla».

- Possibile?
«Quest’estate non sono venuto in Sardegna neanche in vacanza».