Federico Palomba


da La Nuova Sardegna
20 maggio 1999

«I miei cinque anni in trincea»

Il presidente della giunta uscente «Scontri durissimi sugli assetti di potere"

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Federico Palomba, presidente della giunta di centrosinistra dal 1994 in virtù del successo elettorale alla guida dei Progressisti, sta per uscire dalla trincea della Regione: la Coalizione autonomista, per il principio dell’alternanza, ha infatti scelto Gian Mario Selis. Magistrato, direttore al ministero, non lascia la politica dopo il debutto di cinque anni fa: è il numero 2 dei Ds alle Europee.

— Presidente, dopo cinque anni è l’ora dei bilanci. Lei si promuove?
«Io dico che lascio una Sardegna migliore di quella che ho trovato».

— E’ sicuro?
«Lo dicono i dati. Nel 1994 ho trovato tre grandi emergenze: la crisi dell’economia e la chiusura delle grandi fabbriche per la fine dello sviluppo assistito nel Mezzogiorno, il prodotto interno negativo e, come in tutta Europa, il crollo dell’occupazione con 12 mila posti di lavoro persi in un solo anno. Per non parlare delle altre emergenze».

— Quali?
«Una del sistema politico, l’altra della legalità».

— Partiamo dall’economia.
«Ci siamo rimboccati le maniche, la giunta, il sindacato e il mondo delle imprese. Abbiamo capito che dovevamo cambiare mentalità: l’assistenzialismo ci aveva fatto diventare dipendenti e passivi. Dovevamo scuoterci e avere fiducia in noi stessi».

— Con quali obiettivi?
«Innanzitutto sostituire la grande industria con un tessuto di piccole imprese e stracciare la vecchia programmazione centralista».

— Ci siete riusciti?
«Abbiamo realizzato una rivoluzione con i Programmi integrati d’area. La Regione dà il quadro generale, Province, Comuni e imprenditori decidono come programmare lo sviluppo del loro territorio».

— Ha funzionato?
«I 38 Pia sottoscritti significano 2 mila miliardi di investimenti, 16 mila occupati nei cantieri, 8 a regime. Le comunità locali si sono finalmente sentite protagoniste».

— Eppure vi siete scontrati con i campanilismi.
«Che sono stati sostituiti da una collaborazione per lo sviluppo di un territorio più ampio. E voglio rendere atto ai lavoratori e alle categorie produttive di aver mostrato tenuta e vitalità. Parlo dell’artigianato, della piccola e media impresa, della cooperazione, del commercio, del turismo, dell’agricoltura, tutti settori ora in crescita».

— E cosa ha fatto la giunta?
«Tutto ciò che si poteva per favorire lo sviluppo, ma fuori da ogni logica di assistenza e trovando piena comprensione. Abbiamo agito sul credito per abbattere i tassi, sui singoli settori con leggi strutturali. La giunta ha creato le condizioni, l’impresa ha messo le proprie capacità».

— Ma l’industria meno di altri settori.
«Per le attività produttive ci sono stati finanziamenti per 5.500 miliardi in 4 anni. L’industria si sta espandendo e c’è fiducia: le domande superano gli stanziamenti. Ma è più lenta nel produrre frutti. Fa eccezione l’edilizia, in crescita anche per il rilevante aumento degli appalti».

— Sui risultati, però, non tutti sono d’accordo.
«E invece sono solari. Chi non li vuole vedere o è in malafede o vuole oscurarli per altri interessi. Uno dei problemi di questa legislatura è proprio il rapporto con certa informazione che ha oscurato o travisato le cose fatte. Mi dispiace che una parte dei sardi non si è potuta formare un’idea corretta».

— Resta il dramma della disoccupazione.
«Dopo il crollo, dal 1996 l’occupazione è però in costante crescita: nell’ultimo anno ci sono stati 9 mila occupati in più, con un aumento dell’1,9% contro lo 0,3 del Sud e l’1 nazionale. Il Pil ha ripreso a crescere: dell’1,7% nel 1997 e dell’1,9 nel 1998, il più alto di tutte le Regioni. Il numero delle imprese è aumentato. Non sono cose che dico io. Tutti questi dati hanno portato il Sole-24 ore a titolare: Sardegna, locomotiva del Sud. E abbiamo fatto, unici in Italia, anche il piano straordinario del lavoro, d’accordo con tutte le parti sociali».

— Vuole dire che tutti i problemi sono stati risolti?
«Non voglio dire questo, perchè ce ne saranno sempre. Ma sostengo che è delittuoso vulnerare la fiducia dei sardi nelle loro potenzialità».

— Ha parlato di emergenza politica e nel 1997, in una delle fasi più burrascose, denunciò le interferenze di poteri esterni. Ma delle cinque crisi politiche non si sente responsabile?
«In parte sì. Nel senso che se me ne fossi andato subito avrei reso le cose più facili. Ma non ho mai voluto accettare che gli elettori decidessero una cosa, cioè la mia presidenza, e i politici ne facessero un’altra».

— L’obiettivo era fare fuori il presidente?
«Si puntava ad assetti di potere diversi da quelli usciti dalle elezioni. Posso pensare che sia inevitabile, ma mio compito per il patto con gli elettori era quello di non piegarmi a queste logiche. L’instabilità in parte è determinata da una fisiologica fluidità del sistema italiano: si pensi ai ribaltoni in altre Regioni. Qui non è stato possibile perchè la maggioranza della maggioranza e la coesione tra cattolici democratici, sardisti e sinistra hanno voluto rispettare il dato elettorale».

— Quanto le crisi hanno frenato la giunta?
«Hanno influito poco sulla funzionalità della giunta, che ha avuto continuità nell’indirizzo politico. Ha invece inciso sulla funzionalità del Consiglio, che non è riuscito a fare molte cose importanti, soprattutto la miriade di leggi di riforma proposte dalla giunta che avrebbero consentito di rovesciare come un guanto il sistema di potere regionale e non è riuscita a superare la logica del muretto a secco abolendo il voto segreto. Ma questo non ricade sulla responsabilità della maggioranza dei consiglieri del centrosinistra, che hanno subìto la situazione».

— L’immagine complessiva è stata negativa.
«Sì. L’instabilità ha influito pesantemente sul rapporto tra Regione e cittadini, che hanno percepito che certe lotte erano estranee agli interessi generali. Ma l’immagine complessiva è stata recuperata nell’ultimo anno e mezzo di stabilità».

— Ma ne è uscita minata la sua stessa immagine.
«Ma il mio compito era di tenere duro, di non accettare compromessi, di non piegarmi a intimidazioni. Anche a costo di pagare in termini di immagine anche a causa di certe campagne di stampa».

— A quali gruppi di potere si riferisce?
«A quelli abituati a comandare e a condizionare la politica. Hanno fatto di tutto per cambiare il corso della politica e la volontà degli elettori».

— Chi sono?
«In Sardegna ha sempre operato una forte e trasversale rete di interessi economici per avere benefici. In questa legislatura non ha funzionato. E’ una delle ragioni degli scontri».

— Un esempio?
«Se c’era da scegliere tra un grande beneficio per pochi e un grande beneficio per molti, io ho scelto la seconda strada in modo che ciascuno potesse dimostrare le proprie capacità. I recenti avvenimenti e quelli che si sta stanno dipanando dimostrano che lo scrontro si sta risolvendo a favore della democrazia economica e delle istituzioni. I cittadini si stanno rendendo contro che certi attacchi erano in realtà funzionali al mantenimento di privilegi e allo schieramento in partiti politici. Molti abbiano gettato la maschera. I sardi che hanno intelligentemente assistito a questo scontro apprezzano chi ha presidiato questi valori. E credo che il superamento delle crisi dimostri che abbiamo vinto noi e che ora la democrazia è più solida».

— E’ qui che lei lega l’emergenza legalità?
«Lo scontro ha riguardato soprattutto me, ma anche un ceto sempre più diffuso di giovani amministratori locali che vogliono imporre il primato della regola, in ciò opponendosi ai prepotenti. Gli attentati sono colpi di coda di una mentalità violenta».

— Si è sentito solo?
No. Ho sentito vicino a me la stragrande maggioranza dei sardi.”Tenga duro”, mi dicevano. Ed è quello che ho detto ai sindaci. Il vangelo dice: l’importante non è che le cose negative vengano in evidenza, ma è superarle. E’ il percorso che la Sardegna ha fatto nel campo politico, economico e della democrazia legalitaria. Bisogna guardare al futuro con fiducia».

— Il centrosinistra, per la presidenza, ha scelto Gian Mario Selis, considerato a lungo il suo rivale. Tanto che lei sembrava contrario...
«Ma io non ho mai combattuto battaglie personali. Ho avuto moltissimi amici che hanno capito e sostenito l’importanza dell’impegno che proponevo. Altri l’hanno capito di meno e hanno percorso strade diverse. Non mi sono mai autocandidato. Il compito di fare le candidature spetta ai partiti, che hanno deciso che la guida dovesse passare a un esponente del centro moderato. Hanno assunto una responsabilità che io rispetto. D’altra parte la Sardegna è in marcia e ci sono altri luoghi di lotta nei quali difenderla. Auguro al presidente Selis e al centrosinistra il successo che i sardi democratici meritano, per il quale ho lavorato e per il quale lavorerò ancora nelle condizioni date».

— E’ rammaricato?
«Non ho rammarichi di carattere personale. Mi sarebbe piaciuto, perchè nasconderlo?, avere ancora qualche mese a disposizione per raccogliere altri frutti del duro lavoro. Sono felice che li raccoglieranno i sardi, indipendentemente da chi sarà al governo. Ovviamente tifo per la compagine democratica che si candida con ottime possibilità».

— Qual è oggi il rapporto con lo Stato?
«La Sardegna ha conquistato un prestigio straordinario. Penso che le mie pregresse ottime relazioni con le più alte istituzioni dello Stato abbiano favorito la promozione dell’isola, ma ho constatato che i sardi hanno di per sè una grande credibilità. Ci sono stati tanti episodi positivi, ma il capolavoro è l’Intesa. Potevo firmarla prima, ma non volevo una cosa debole e ho tenuto duro. E’ il più grande patto della storia dell’autonomia negoziato dalla Regione con lo Stato da pari a pari. E’ l’inizio di un effettivo federalismo».

— E nel concreto?
«Ha risolti nodi storici, compresi quelli su cui c’erano le resistenze di poteri economici fortissimi. Parlo soprattutto del metano e della continuità territoriale. L’Intesa contiene 2.600 miliardi per l’energia, le ferovie, le strade e la scuola, 2.000 miliardi per per le opere infrastrutturali perchè il metano arrivi, l’estensione dei benefici per famiglie e imprese sino a quando il gas sarà disponibile, l’aumento della percentuale dei fondi comunitari dall’8,15 per cento al 13 per cento, che tradotto in lire è qualcosa come 4-5 miliardi. Il tutto lasciando aperta la possibilità di rinegoziare il piano di rinascita e nel rispetto della programmazione regionale e con la previsione di altri 11 accordi di programma su temi cruciali».

— Il Polo dice che è propaganda elettorale.
«La verità è che presentano come avveniristici programmi che appartengono al passato o al presente. Come la continuità territoriale, con la rottura dei monopoli e con nostre richieste accolte dal Parlamento, e le piccole e medie imprese».

— Ora è stato candidato al Parlamento europeo.
«Il Trattato di Amsterdam assegna alle istituzioni comunitari poteri grandissimi tali da incidere negli Stati e nelle Regioni. Ci sono da sconfiggere la rimontante logica centralista e le pressioni dei paesi forti. Come presidente della commissione delle isole ho fatto accettare il principio dell’insularità e ho ora fiducia nella presenza di Prodi. Ma la Sardegna dovrà essere presente. Sono lì le nuove sfide».