Rosy Bindi

da La Nuova Sardegna
12 ottobre 2007

«Così l’incontro
cattolici-laici»


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Rosy Bindi è appena uscita dal Cicip Ciciap, il «tempio» del femminismo milanese. Molte domande su temi che scottano: Dico, fecondazione assistita, adozioni per le coppie omosessuali, coordinamento femminista. Alla fine si contano molti applausi, qualche brusio e poche protesta. Un successo per la candidata anti-Veltroni alla guida del Partito democratico. Ma la tensione accumulata era tale che il ministro per la Famiglia, subito dopo, ha una gran voglia di parlarne. E pensando alla Sardegna dice di avere un rimpianto: aver dovuto far saltare la visita a Nuoro e Cagliari.

— Rosy Bindi, le agenzie dicono che ha appena incassato il sostegno delle femministe di Milano. Lei è femminista?
«No, non lo sono mai stata».

— E allora?
«E’ il bello di questa mia campagna elettorale, è una metafora del Partito democratico che stiamo costruendo».

— In che senso?
«Sto trovando consensi non solo e non soprattutto da persone con le quali ho condiviso impegno politico e civile ma da mondi diversi. E siccome stiamo facendo un partito plurale, credo che questo sia molto bello».

— Sorpresa dall’incontro milanese?
«Beh, era la prima volta che entravo in una sede storica del femminismo italiano. Ed era la prima volta anche per loro con un’esponente istituzionale, per di più cattolica».

— Qual era l’obiettivo?
«Il Pd nasce per essere l’incontro tra persone che la pensano diversamente e che hanno il gusto e la volontà di mettersi d’accordo».

— Mesi fa, in una visita in Sardegna, disse che si sarebbe trovata a disagio in una sede del vecchio Pci.
«Ci sono entrata tante volte e non ho mai avuto problemi».

— Perché allora quella frase?
«Volevo dire che il Partito democratico deve fare lo sforzo di trovare nuovi simboli e nuove sedi».

— E i costi della politica?
«Capisco bene che non devono aumentare, ma quello delle sedi è un obiettivo da perseguire. Ci tengo molto che, anche sotto il profilo organizzativo, questo nuovo partito non sia solo la continuità storica di una parte».

— Vista l’accoglienza delle femministe pensa che il rapporto tra cattolici e laici possa essere favorito dalla nascita del Pd?
«Sì, questo nuovo partito dovrà avere un’impronta di laicità per aiutare il dialogo tra credenti e non credenti, per costruire la società interculturale secondo le sfide dell’oggi. Una nuova laicità, aperta a tutte le differenze, ricercando sempre una sintesi superiore, il più possibile rispettosa del pluralismo».

— Da qui il suo sì al burqa?
«Non ho sono mai stata per il sì al burqa. Bisogna distinguere se è segno di oppressione nei confronti delle donne o libera scelta. Gentilini a Treviso non proibisce il burqa perché è un’oppressione, ma per impedire alle altre civiltà di mostrare i loro simboli. Questo non va bene. Lo Stato laico difende da ogni tipo di fondamentalismo e oppressione e dà a tutti la possibilità di esprimersi secondo la propria originalità, nel rispetto delle regole».

— Con il Pd la legge sui Dico farà passi in avanti?
«Nel governo è stato facile trovare una sintesi, la difficoltà è in Parlamento».

— Perché?
«Ci sono dei residui di clericalismo e di laicismo».

— Perché ha detto: il governo sarà più forte se vinco io?
«Ho sempre sostenuto che questo partito doveva nascere con la preoccupazione di un programma di lungo periodo e di prospettiva futura e avrebbe dovuto sostenere il governo e tenere unita la coalizione. Veltroni non ha mai sciolto l’ambiguità iniziale».

— Quale ambiguità?
«Se è candidato alla segreteria del Partito democratico o alla presidenza del consiglio».

— Si riferisce alla proposta di dimezzare il numero dei ministri?
«E’ una richiesta, assieme a quella dell’azzeramento delle deleghe dei ministri del Partito democratico, che mi ha preoccupato, perché non aiuta a tenere unita la coalizione. Che è già molto litigiosa».

— Ma Veltroni ha poi chiarito che la scelta spetta a Prodi.
«Secondo me il punto interrogativo è rimasto».

— Lei non crede che il numero di ministri e dei sottosegretari sia eccessivo?
«Assolutamente sì».

— E’ quello che ha detto anche Veltroni.
«Ma sarebbe buon gusto aspettare di essere eletti prima di dirlo. Temo che per fare un governo più bello finisce che restiamo senza governo se aumenta la fibrillazione».

— Teme davvero che il 14 ottobre ci siano dei brogli?

«Mai usato questa parola».

— Ha comunque provocato una dura polemica.
«Ho solo chiesto di conoscere per tempo la sede dei seggi: sono dodicimila e vedo che altrettanto ha fatto Rutelli. Sarà difficile per chi non ha un’organizzazione alle spalle assicurare dappertutto i rappresentanti di lista. Non è scandaloso chiedere di vigilare, gli altri lo faranno sicuramente senza averlo chiesto».

— Governo rafforzato dalla vittoria dei Sì al referendum sindacale sul welfare?
«E’ un buon risultato, anche se non va sottovaluto il fatto che ci sia stata una concentrazione di No in alcune parti del paese».

— In Sardegna lei sostiene Filippo Spanu, mentre Renato Soru ha diviso le liste tra Letta, il privilegiato, e Veltroni, e Cabras si è schierato decisamente sul sindaco di Roma. Come giudica questi schieramenti?
«Penso molto semplicemente che noi abbiamo fatto una scelta saggia. Mi sarebbe convenuto di più appoggiare i candidati più forti, sarebbe convenuto anche ai miei sostenitori, ma crediamo che il confronto tra il rappresentante dei partiti e il rappresentante delle istituzioni rischi di non fare bene né all’uno né all’altro.

— Ripercussioni, ad esempio, sulla giunta?
«E’ lo stesso discorso del governo. Anche per la giunta mi auguro che si rafforzi».

— Nell’isola il suo collega ministro Parisi la sostiene con decisione, in linea con l’idea di evitare che il Pd nasca come l’incontro delle vecchie burocrazie dei partiti. E’ anche il suo obiettivo?
«La mia candidatura è proprio in segno di rottura dell’accordo tra i vecchi gruppi dirigenti. Per questo ho portato settemila candidati della società civile».

— C’è voglia di politica?
«Di nuova politica».

— O c’è antipolitica?
«Io non la vedo».

— Il fenomeno Grillo?
«Non è antipolitica, è proprio una domanda di nuova politica che dobbiamo essere capaci di intercettare».