Susanna CAMUSSO (2011)

«Il futuro è l’industria»
La Nuova Sardegna 11 marzo 2011
di Filippo Peretti
CAGLIARI. E’ stata più volte in Sardegna, ma oggi per Susanna Camusso è la prima volta da segretario generale della Cgil. Nella segreteria di Guglielmo Epifani era responsabile dell’industra, settore che ancora è al centro delle sue attenzioni.

— Susanna Camusso, è trascorso un anno dall’ultimo sciopero generale in Sardegna, con la sua partecipazione al corteo dei 50 mila. Rivolta a Berlusconi e Cappellacci, lei denunciò che”i lavoratori sono stanchi di promesse”.
 «Ed è ancora così. I lavoratori sono stanchi di promesse e tutti siamo stanchi di annunci a cui non seguono i fatti».

 — E nel frattempo?
 «La crisi della Sardegna si è aggravata ed è ulteriormente condizionata dalla crisi più generale del paese».

 — Che fare?
 «La risposta è nell’agenda di tutti i giorni: continuare l’iniziativa, affrontare le vertenze, tenere aperta una prospettiva».

 — Lei è stata all’Asinara per sostenere la battaglia degli operai di Vinyls. Una protesta che dura da un anno ma che non ha ancora prodotto un risultato concreto. Cosa significa?
 «Ci dice quanto è dannoso un governo che, nel pieno della più grande crisi economica, per mesi non ha avuto un ministro dell’Industria, che trascina le vertenze e non affronta i problemi».

 — Quello dell’isola dei cassintegrati è stato un grande successo mediatico. Ma che riflessione suggerisce questo metodo di lotta?
 «Da una parte c’è l’abnegazione dei lavoratori, i loro sacrifici personali, i loro bisogni e i loro diritti calpestati, dall’altra la necessità di usare queste”forme straordinarie” per riuscire a far parlare del lavoro».

 — Si è occupata spesso dei punti di crisi da Porto Torres a Portovesme, da Ottana a Cagliari. C’è ancora una prospettiva per la grande industria?
 «Certo che c’è una prospettiva per la grande industria nell’isola e vi possono essere anche segnali positivi, per esempio nel progetto di chimica verde».

 — C’è anche chi sostiene che dell’industria se ne possa fare a meno.
 «No. Serve all’isola come al paese convincersi di essere un paese manifatturiero».

 — Perché?
 «E’ stata la nostra fortuna per non venir travolti finanziariamente dalla crisi ed è sempre di più la nostra scommessa per disegnare il futuro».

 — Qual è la ricetta per una politica per il lavoro e per la ripresa delle produzioni?
 «Ricerca su energia e i suoi costi, investimenti in infrastrutture e in logistica. Sono le risposte necessarie per uscire dall’attuale declino».

 — Temete che possa essere applicato qui il modello Marchionne?
 «Nel senso di cui ho detto, per noi il modello Fiat non è una risposta, perché scarica sui lavoratori i costi della crisi e delle difficoltà dell’azienda a produrre nuovi modelli. Basta guardarlo così per sapere che non deve diffondersi».

 — In Sardegna, talvolta in alternativa all’industria, si parla del binomio turismo-ambiente. Lei ci crede?
 «Per la Sardegna, come gran parte del nostro paese, il turismo può essere un grande volano di sviluppo e di cura del territorio. Una considerazione che fa della tutela dell’ambiente una precondizione».

 — Necessariamente in alternativa al sistema produttivo?
 «Non trovo nessuna ragione per cui debba essere in alternativa».

 — La Sardegna ha il più alto indice di disoccupazione giovanile, quasi il 50 per cento. Molti ragazzi emigrano, non trovano lavoro neanche i laureati. Quali interventi concreti chiedete?
 «La mancanza di lavoro fa pensare ad un’intera generazione di non avere futuro. E’ il più grande allarme del paese. Bisogna ripartire dal lavoro per questo serve che si sconfigga la precarietà, abolendo tutte le scorciatoie inventate dalle leggi».

 — Sono possibili, per superare l’emergenza, anche aiuti assistenziali?
 «Parliamo di politiche di incentivazione al lavoro stabile, che non è assistenza ma riregolazione del lavoro».

 — Altri individuano priorità diverse.
 «E’ il lavoro l’unica vera fonte di ricchezza e sviluppo di un paese».

 — Lo sciopero sardo di un anno fa è stato unitario. Il 6 maggio la Cgil protesterà senza Cisl e Uil. La prospettiva unitaria è compromessa definitivamente?
 «Non ci rassegniamo alla rottura sindacale, continueremo a insistere perché si reagisca a un governo che non discute, non contratta, annuncia e non fa nulla per un paese in profonda difficoltà».

 — Voi accusate Bonanni di essere filo governativo, lui accusa voi di aver perso la spinta riformista per seguire le parti più”estreme”.
 «Non trovo nulla di riformista nel rinunciare a contrastare politiche che per il lavoro non producono risultati. Sono trascorsi due anni e mezzo dall’inizio della crisi e l’unica risposta continua a essere la cassa integrazione in deroga».

 — Non l’avete rivendicata voi?
 «Sì, ma è l’unica risposta dal governo. Ed è finanziata dalle Regioni».

 — E il Piano per il Sud?
 «E’ stato annunciato per ben cinque volte e alle parole non sono ancora seguiti i fatti».

 — Lo sciopero del 6 maggio è «politico»?
 «Le ragioni sono sindacali: fisco e lavoro innanzi tutto».

 — Quanto pesano i condizionamenti politici sul sindacato?
 «L’ambizione è condizionare il governo e la politica, tutt’altro che esser condizionati».

 — La politica italiana non attraversa un momento felice.
 «Viene sempre più vissuta come impegnata su sé stessa, il governo parla solo dei problemi del presidente del Consiglio e si esercita a dividere il paese».

 — La preoccupa il riesplodere della questione morale e degli scandali che, come il caso dell’eolico selvaggio, coinvolgono anche la Regione sarda?
 «Sarebbe essenziale un sussulto di rispetto etico e istituzionale».

 — Che giudizio dà dell’operato della giunta Cappellacci?
 «La gravità della crisi, la necessità che l’isola non viva staccata e abbandonata dal continente, richiederebbe ben altra autonomia e decisione».

 — Due giorni fa è stata celebrata la festa della donna. Dopo cento anni è ancora attuale?
 «Certo che la festa della donna è attuale, quest’anno più che mai».

 — Perché?
 «Basta pensare alla rivendicazione di dignità che ha attraversato le piazze del 13 febbraio e allo spettacolo che viene invece offerto al mondo dai comportamenti e dalle affermazioni del presidente del Consiglio».

 — Dov’è più marcato il ritardo della questione femminile sul lavoro?
 «L’Italia è un paese ancorato ad un’idea di famiglia dove la donna ha tutto il carico. C’è quindi un pregiudizio sulla sua attitudine al lavoro e un disimpegno pubblico nel welfare».

 — Una discriminazione dura a morire?
 «Sì ed è all’origine del ritardo del nostro paese, in particolare proprio sull’occupazione femminile».

 — La Cgil e la Confindustria sono guidate da donne. Passo in avanti storico?
 «Cgil e Confindustria guidate da donne sono l’immagine plastica di una società più avanti della politica».

 — Nella politica italiana la parità non esiste. Sarà la volta buona per una prima ministro?
 «La rappresentanza paritaria dovrebbe essere all’ordine del giorno della politica perché è questione di democrazia».

 — Non sembra ottimista.
 «Vedo un parlamento più occupato a difendersi che ad ampliare il suo essere rappresentante della società».

 — Quali sono le donne che nella storia politica lei ha stimato o stima maggiormente?
 «Tante hanno fatto la storia del nostro paese, penso alla loro presenza nell’Assemblea Costituente, alla prima donna ministro, Tina Anselmi, alle grandi sindacaliste».

 — Chi ricorda?
 «Argentina Altobelli, la Noce, la Marcellino, le tante spesso dimenticate, per esempio le mondine e le tessili che conquistarono le otto ore. Donne radicate, con grandi relazioni col territorio, con il lavoro».

 — L’essere donne quanto incide nel confronto e nel dialogo con la Marcegaglia, con la quale lei ha detto di aver trovato punti in comune?
 «Credo sempre che le donne abbiano un punto di vista, di lettura che le mette in relazione e grandi capacità di esercitare ruolo e funzione. E in ragione di questa funzione ho occasione d’incontrare la presidente di Confindustria».

 — La Cgil sarda si sta impegnando a fondo, nell’ambito del federalismo, a difendere la rivendicazione per un’autonomia regionale più forte. Così come per l’industria, sono battaglie che la Cgil può far diventare nazionali?
 «Per noi è già vertenza nazionale quella per un federalismo efficace e solidale».

 — Qual è il suo giudizio sul progetto del federalismo fiscale?
 «Le modalità con cui si va definendo non ci convincono. Nel periodo di massima centralizzazione della finanza pubblica e dei tagli a enti locali e regioni, dicono che i territori avranno di più. Il rischio è che quel di più non sia più autonomia, ma più tasse su contribuenti onesti, lavoratori, pensionati».