Salvatore Cherchi


da La Nuova Sardegna 13 luglio 2001

«La Quercia è in una palude»

«I Ds si aprano alla società
e il gruppo dirigente
faccia un passo indietro»


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Prima lo scontro sulla «mozione unica» proposta dal segretario Antonello Cabras. Poi la lacerazione sull’Assemblea costituente sarda, con Cabras che «bacchetta» il coordinatore della segreteria Pietro Maurandi che aveva chiesto un intervento del partito sui dissidenti di Democratzia che in consiglio regionale avevano votato col Centrodestra. La crisi dei Ds, dopo la sconfitta elettorale, si sta aggravando. L’ex segretario ed ex deputato Tore Cherchi (oggi sindaco di Carbonia) ha deciso di uscire allo scoperto per denunciare - in questa intervista - lo stato di «palude» della Quercia, per chiedere che il partito si apra alla società e che il gruppo dirigente si metta in discussione per favorire «innovazione e discontinuità».

— Onorevole Cherchi, nell’ultima riunione dei Ds lei è stato molto critico col segretario regionale Antonello Cabras. Perchè?
«Io ho fatto un ragionamento che non riguarda le persone ma il modo con cui si vuole affrontare il congresso e la crisi dell’intero partito. A iniziare da quello nazionale».

— E’ pessimista?
«No. Ma occorre far avanzare una nuova leadership basata su innovazione e discontinuità. Non significa che bisogna mettere da parte gli attuali quadri dirigenti, ma dopo una sconfitta politica e anche elettorale così marcata bisogna agire come fanno tutti i partiti socialdemocratici occidentali: cambiare con forte autonomia rispetto ai leader uscenti».

— E’ contrario alla candidatura di Fassino?
«Io stimo moltissimo Fassino e non avrei remore morale a dargli fiducia, ma vedo che è stata messa in campo una leadership senza progetto politico. E’ il limite di come è stata affrontata la fase post elettorale».

— E l’alternativa?
«Vedo che sta maturando un’altra aerea più segnata sul piano della discontinuità benchè il progetto sia ancora non definito. Prima di dare adesioni, bisogna guardare non il punto di partenza ma capire dove si vuole andare».

— E la situazione del partito in Sardegna?
«Ha subito una sconfitta elettorale persino più pesante. Bisogna esserne consapevoli e l’intero gruppo dirigente deve riflettere con umiltà».

— Lei si è pronunciato contro la proposta Cabras della mozione unica del partito in Sardegna che vuole rimarcare il patto federativo con Roma.
«Io sono d’accordo sul partito federato. Era l’idea di quanto ero segretario nel passaggio dal Pci al Pds. Sotto l’impulso di Ulberto Cardia costituimmo l’Unione autonoma della sinistra sarda con un patto programmatico col Pds nazionale, ma non siamo mai arrivati al partito federato. Ritengo utile una mozione di princìpi che vada oltre le mozioni congressuali legate alla contingenza».

— Perchè allora la sua contrarietà?
«La mozione unica sul partito federato rischia di essere un diversivo se non si risolvono prima i nodi politici del modo di essere del partito. Il mio giudizio, non solo riferito al recente passato, è severo. E infatti sono stato molto critico».

— Qual è la sua ricetta?
«Voglio essere chiaro, impietoso, perchè non serve edulcorare la realtà. Di questo partito non si ricordano iniziative che negli ultimi anni abbiano mobilitato la società sarda. E’ un partito che è sempre più autoreferenziale nei suoi gruppi dirigenti, al suo interno non c’è la società».

— Può fare esempi concreti?
«Prendiamo il tema istituzionale. L’iniziativa della Costituente è fuori dall’orizzonte politico concreto, è un terreno o di testimonianza o di giochi politici. Ma non basta dirlo. Occorre contrapporre una seria iniziativa di riforma facendo avanzare in consiglio regionale quelle possibili. E va messa in campo una concreta proposta di riforma e sostenerla nella società, ad esempio raccogliendo le firme su una proposta di iniziativa popolare. Lo avevampo deciso, non si è fatto nulla. C’è uno scarto enorme tra decisioni e realizzazioni».

— Cosa pensa dello scontro interno che si è sviluppato proprio sull’Assemblea costituente?
«Non mi ha appassionato. Io sono contrario alla Costituente sarda, è un progetto sterile al quale il Parlamento non dirà mai sì. Ma il torto del gruppo dirigente regionale è che non ha sviluppato un’iniziativa alternativa mentre ci sono larghissimi spazi».

— Perchè in Sardegna il calo elettorale è stato più accentuato?
«L’opinione pubblica democratica c’è, ma è delusa soprattutto dai gruppi dirigenti, che non sono riusciti neanche a spendere bene i risultati dei governi di Centrosinistra. Il congresso deve aprire realmente il partito alla società, ad esempio coinvolgendo negli organismi i referenti sociali che vogliamo rappresentare e superando le attuali resistenze conservatrici dei quadri. Se non si fanno queste cose...».

— Se non si fanno queste cose?
«Non se ne esce. Il discorso vale anche per l’Ulivo. Come soggetto politico in Sardegna non esiste, non c’è alcuno sforzo per farlo nascere, non ci sono i gruppi unici nelle istituzioni, non si fa la conferenza annuale sul programma. L’obiettivo di rinunciare a quote di sovranità dei partiti è stato sacrificato su interessi particolaristici talvolta di singole persone. Non è vero che la malattia è la scarsa autonomia dei partiti sardi, il problema è qui, la palude è qui».

— Ma «qui» l’autocritica non c’è stata.
«Serve invece un bagno di umiltà. Stiamo scivolando sull’ordinaria amministrazione. Mentre servono congressi di idee e di discussione sociale. E serve che il gruppo dirigente faccia un passo indietro mettendosi in discussione».

— Un cambiamento radicale?
«Non mi interessano le questioni di schieramento e il problema non è la persona del segretario. Serve una reale innovazione con una verifica su ciò che si elabora e ciò che si fa. I dirigenti vanno giudicati sulla base dei risultati e delle realizzazioni. Il partito langue, l’Ulivo pure. Di chi è la responsabilità?».