Antonello Cabras (2009)

da La Nuova Sardegna
21 febbraio 2009

"UNA BOCCIATURA SENZA PRECEDENTI
MA SORU RESTI: NON SI FUGGE"


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Antonello Cabras non usa giri di parole: «E’ una bocciatura netta, il Centrosinistra sardo non aveva mai perso in questo modo e con questo divario alle elezioni regionali». Il senatore del Pd, presidente dal 1991 al 1994, è stato il principale sponsor sardo della discesa in campo di Renato Soru. Ma nel 2007 il rapporto si è rotto: quando il governatore decise di puntare alla segreteria, fu Cabras a batterlo nelle primarie. Da lì la guerra nel Pd, le dimissioni di Cabras, la crisi regionale e le elezioni anticipate. Con la vittoria del Centrodestra di Ugo Cappellacci.

— Antonello Cabras, è una sconfitta senza precedenti. Se l’aspettava?
«Non la prevedevo ma ero preoccupato da tempo».

— E’ una bocciatura per la giunta Soru?
«I voti sono numeri, aridi ma chiari: è una bocciatura, e non con cinque».

— Soru ha annunciato che non si ritira dalla politica regionale. Cosa ne pensa?
«Avrei giudicato negativamente se avesse detto il contrario».

— Perché?
«Sarebbe stata una fuga. Gli impegni si rispettano quando vinci e quando perdi».

— In molti, anche tra i soriani, pensavano che lasciasse.
«Capisco umanamente il senso di frustrazione che può provare, succede a tutti. Ma c’è tempo per riflettere».

— Cosa l’ha colpita di più della sconfitta?
«Il risultato così netto e omogeneo. Come coalizione abbiamo vinto solo nel Medio Campidano mentre abbiamo perso anche a Sassari e a Nuoro».

— Soru però è andato meglio.
«Sì, anche se ha vinto solo in tre province su otto».

— Ma nel complesso ha preso molti più voti dei partiti.
«E’ vero. Anche Cappellacci. Soru quasi centomila, Cappellacci 50 mila. C’è dappertutto una fetta di elettorato che vota solo i presidenti».

— Soru è stato danneggiato dal voto disgiunto?
«No. Non ha pesato».

— Lei è certo che nel Pd non sia stato organizzato proprio dai dissidenti per danneggiare Soru?
«Che a me risulti, no. E visti i risutati è difficile da cogliere nei grandi numeri. Del resto c’è anche nel Centrodestra verso Soru».

— Soru per vincere puntava sulle cose fatte ed è rimasto sorpreso. Cosa è successo secondo lei?
«Non dobbiamo mai confondondere il nostro giudizio di quando governiamo e il voto degli elettori».

— Lo dica lei, allora: perché la bocciatura?
«Per un mix di fattori, almeno tre: una componente politica generale, l’azione di governo che evidentemente non ha soddisfatto, le discussioni interne nel Pd e nel Centrosinistra sul rapporto con gli elettori».

— Partiamo dalla componente politica generale.
«Sarà analizzata meglio quando saranno chiari i flussi del voto, gli spostamenti. Ora si può dire che nel 2004 i sardi avevano maggiore propensione a votare per il Centrosinistra, poi il vento ha iniziato a cambiare».

— E l’anomalia sarda?
«Non ci ho mai creduto troppo. I sardi votano secondo gli schemi e i valori degli altri italiani».

— Passiamo al secondo elemento. L’azione della giunta non è piaciuta?
«Penso di no, altrimenti ci avrebbero votato».

— Cosa c’era di sbagliato?
«Non i contenuti e le grandi scelte, che tutti abbiamo condiviso».

— Il rapporto con gli elettori è entrato in crisi, ad esempio, con la politica di tutela delle coste?
«No, il giudizio dei sardi su questo punto è positivo e non da oggi. I primi vincoli di salvaguardia risalgono al 1976, i primi in Italia. E’ ormai un valore condiviso».

— E il nuovo allarme per le speculazioni immobiliari?
«E’ sbagliato dire che i sardi hanno votato il Centrodestra perché vogliono la cementificazione».

— Cosa è mancato?
«Quando vuoi coniugare sviluppo e tutela, hai bisogno di consenso più profondo di quello di cui ci siamo accontentati nella prima fase di governo».

— Lei una volta ha fatto l’esempio dell’ingresso nell’euro con il governo Prodi.
«E’ così, gli italiani oggi ne capiscono il valore, ma intanto non ci avevano votato».

— Col Piano paesaggistico cosa è successo?
«L’abbiamo trasmesso più come un divieto che come un valore positivo e come un’opportunità per tutti».

— Ha pesato anche la crisi economica dell’isola?
«Le difficoltà incidono più sulla partecipazione al voto».

— L’astensionismo?
«Dal 2004 il trend è in costante crescita in Sardegna: meno 8 alle politiche, ora meno 3 alle regionali. Segnala una sfiducia crescente dei cittadini sulla capacità della politica di dare risposte. Non è un caso che le due province in cui si è votato di meno sono il Sulcis e il Medio Campidano, così come era capitato alle ultime politiche a Nuoro».

— E’ un fenomeno allarmante?
«Sì, il rischio è una democrazia senza consenso, in cui chi vince, come Cappellacci, rappresenta solo il 34 per cento degli aventi diritto al voto e la coalizione il 30. Soru è al 28, il Centrosinistra al 21».

— Eppure Soru nel 2004 e poi il Pd si erano presi proprio il compito di avvicinare i cittadini alla politica.
«Per noi è una pesante battuta d’arresto».

— Terza ragione, lo scontro nel Pd e nel Centrosinistra. Quanto ha pesato?
«Parecchio. Si era apertatra noi proprio una discussione sul rapporto con gli elettori che era entrato in crisi e che ha oggettivamente indebolito giunta e coalizione».

— E’ l’allarme delle politiche dello scorso aprile?
«Per la verità già dalle amministrative del 2007, quando il Centrodestra vinse nei Comuni maggiori di quella tornata, da Oristano ad Alghero, da Olbia a Selargius».

— E poi alle politiche ci fu il sorpasso a livello regionale.
«La discussione interna nacque proprio dalla lettura di quel dato. Altri dicevano che non c’era da preoccuparsi».

— Forse perché qui il Pd andò nettamente meglio della media nazionale.
«E qualcuno disse che era merito della giunta. Ma il mio ragionamento riguardava la coalizione, che fu battuta».

— Il primo errore fu sottovalutare quei segnali?
«C’è stata insufficienza nell’analisi e nel recupero del consenso».

— Come si poteva riuscirci?
«Avevo una mia tesi. Appena eletto segretario, nell’ottobre 2007, ho proposto di rafforzare la coalizione e possibilmente di allargarla».

— Era possibile?
«Il Psd’Az era nostro alleato dappertutto tranne che alla Regione. E dopo le politiche l’Udc è insieme a noi all’opposizione in Parlamento. Si poteva fare».

— Scusi, ma il segretario era lei. Perché non si è mosso in quella direzione?
«Non sono riuscito a fare passare questa linea in maggioranza».

— Perché?
«Ha prevalso l’opinione che bisognava al contrario procedere senza modifiche, perché bastavano le cose che faceva la giunta. E abbiamo perso per strada anche i socialisti».

— Lei non fa autocritica?
«Come segretario?»

— Sì.
«L’autocritica che mi sento di fare è non aver tenuto le primarie territoriali a febbraio 2008. E’ stato un errore. Il partito avrebbe avuto un suo insediamento».

— Perché non lo fece?
«Ci fu una valutazione unanime, o quasi. Anche se poi l’hanno attribuita solo a me».

— Non si pente delle dimissioni?
«No, ho capito che nel partito c’era una prevalenza di opinioni diversa dalla mia. Un gesto come quello di Veltroni».

— E la guerra a Francesca Barracciu che ha poi portato al commissariamento?
«Vediamo ora come si risolve il caso nazionale».

— In che senso?
«Quando si deve sostituire un segretario eletto alle primarie non si può eleggerne un altro di minoranza. Noi non lo accettammo».

— Come ha giudicato la decisione di Soru di andare alle elezioni anticipate?
«E’ stata una sfida. Ha dato un segno di forza che poi si è rivelato una debolezza».

— Un errore quindi?
«Visti i voti, magari avremmo perso anche a giugno».

— Soru, quando parla del partito sardo per il quale vuole impegnarsi, secondo lei pensa allo stesso Pd?
«Il risultato elettorale può far cambiare progetti, ma prima si discuteva, non in dissenso, di costruire un partito molto ancorato alla Sardegna con fortissima autonomia ma dentro il partito nazionale».

— Il vostro scontro è iniziato proprio sul Pd.
«Per me era sbagliata l’idea di Soru che il presidente dovesse avere anche la guida del partito».

— Lo scontro sulle primarie è stato l’inizio di una china discendente?
«Lì è andata in crisi una convergenza politica che aveva avuto successo nel 2004. Ma penso che il rapporto con gli elettori fosse già in crisi».

— Il commissariamento del partito è da superare?
«E’ la fotografia della crisi, la permanenza non è un segnale positivo».

— Gli scontri sono superabili?
«Se si ragiona di politica sì. Facendo una riflessione sul voto, trovando una sintesi e finalmente lavorando tutti per la causa comune».

— Avevate chiesto il congresso. E ora?
«Questa fase congressuale nazionale può agevolare anche qui un dibattito di maggior respiro e non limitato al tema delle divisioni».

— C’è stato uno scontro sulle candidature. La scelta del rinnovamento è servita?
«Se la giudico dal risultato dico di no, ma non è così».

— Perché?
«Il problema è stato applicare un criterio con animo fondamentalista. I fondamentalismi provocano traumi. Soru nel 2004 era una proposta di rinnovamento e di cambiamento, ma applicare criteri burocratici senza valutazioni di ruoli e capacità, non ricandidare gente di 40 anni e puntare su ultrasettantenni... Ci vuole equilibrio».

— E’ stato dannoso?
«Avremmo perso lo stesso, ma certo non abbiamo guadagnato voti».

— La crisi del partito in Sardegna è a livello di quella nazionale?
«Non è da meno, ma la discussione che abbiamo avuto qui erano la spia di una situazione generale».

— La difficoltà di un progetto ancora in corso di realizzazione?
«Sì. Basti pensare che il congresso di cui parliamo sarà il primo del Pd. Ora l’interrogativo e se riusciamo a realizzare il progetto o no».

— Quello sardo era un campanello d’allarme?
«In un certo senso sì. Abbiamo vissuto in anticipo certi problemi perché c’erano le elezioni regionali».

— Cosa prevede: il Pd ce la farà a superare questa crisi?
«Io ho lavorato convintamente e sono impegnato ancora che il progetto si realizzi. Ci sono però fattori che devono concorrere. La risposta è quindi sospesa».