Oliviero Diliberto


da La Nuova Sardegna
16 luglio 2005

«Uniti per cacciare Berlusconi»

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Oliviero Diliberto, deputato e docente universitario, cagliaritano che nei mesi scorsi ha scelto di tornare nella sua città come consigliere provinciale, è uno dei leader della politica nazionale. Segretario del Partito dei comunisti italiani, spiega di avere due grandi obiettivi: «cacciare Berlusconi», come usa dire nel suo schietto linguaggio, e riunificare la sinistra almeno attraverso una federazione di partiti.

Onorevole Diliberto, si parla di lei come sindaco di Cagliari.
«L’ho letto sui giornali».

Cosa ne pensa?
«Sono lusingato, non posso negarlo».

Candidato o aspirante?
«Né aspirante né niente, non è farina del mio sacco».

Non le interessa?
«Al contrario. Sono innamorato della mia città e fare il sindaco oggi è molto più importante che in passato».

Veltroni ha fatto questa scelta. Lei la vede come una retrocessione?
«Assolutamente no. Governare la propria città è un’aspirazione di tutti».

E allora?
«Forse non è il momento giusto».

In che senso?
«Il voto comunale coinciderà con le politiche, che è la madre di tutte le battaglie per cacciare Berlusconi».

Da leader del Pdci pensa di più a quella sfida?
«E già. Comunque è prematuro parlarne».

Ha definito “bizzarria” le primarie nazionali. Non sono una scelta democratica?
«Se fossero vere sì».

Non lo sono?
«Ma se anche quelli che gli si contrappongono dicono che il candidato è Prodi!».

E se succede come in Puglia?
«Sarebbe una tragedia».

Perché, Vendola poi non ha vinto?
«Ma con Bertinotti candidato rivince Berlusconi».

Eppure lei ha detto che avrebbe votato Bertinotti se a capo di una lista della sinistra alternativa.
«Ho detto una cosa elementare».

Ma non è stata recepita.
«Questo è diverso. Ho detto che se Bertinotti è il candidato solo del Prc, voto Prodi».

Perché il Prc non ha accettato?
«Ha prevalso l’egoismo di partito, che secondo me nuoce anche a Bertinotti».

Al “no” lei ha replicato: triste sordità. Cosa non vogliono sentire?
«La grande voglia di unità del popolo di sinistra».

Ci sarà pure voglia di unità, ma la sinistra continua a litigare.
«In molti purtroppo prevale la sindrome del divorziato, il dispetto, il rancore».

L’unità è possibile?
«Sì. Penso a una federazione per rimettere insieme i cocci del Pci che si è diviso in tre, anzi in quattro».

Ds, Prc, Pdci. E il quarto?
«Il più grande, chi non ha aderito agli altri perché deluso dalle divisioni».

Dopo il “no” del Prc ci riproverà?
«Intanto lavoro con Verdi e settori pacifisti e della sinistra diffusa a un programma e a una lista arcobaleno».

La rivalità con il Prc è un ostacolo?
«Esiste solo da parte loro».

Sicuro?
«Ho proposto a Bertinotti di fare il leader, cosa posso fare di più?».

In Puglia siete stati esclusi dalla giunta Vendola. Per i conflitti nazionali?
«Spero che sia solo un fatto locale».

Ma gli avete comunque dato un gran peso.
«L’unica giunta che ci ha esclusi è l’unica guidata da un comunista. E’ clamoroso».

Sulla chiusura dei Centri per immigrati si è però detto d’accordo con Vendola.
«La polemica politica va tenuta fuori da certe cose. I centri sono aberranti».

Si è detto ottimista per le elezioni ma preoccupato per conti pubblici ed economia. Paura di governare?
«No, ma troveremo voragini. Toccherà a noi risanare».

Come nel 1996?
«Peggio. Allora c’era l’obiettivo dell’euro, oggi tutti i parametri sono saltati e non ci sono soldi in cassa».

Chi dovrà fare sacrifici?
«Non certo le fasce deboli e i lavoratori».

Propone risanamento, aumento di salari e pensioni e una scala mobile legata all’inflazione reale. Come fare tutto?
«Facendo ripartire l’economia. Aumentare salari e pensioni favorirà gli acquisti e quindi l’economia».

Non serve anche una svolta nel mondo del lavoro?
«Eccome. In questi anni si è cercato di cancellare i contratti a tempo determinato, persino nelle pubbliche amministrazioni».

Assume un impegno contro il precariato?
«Certo. Una società di precari vive nell’incertezza permanente».

Su questo punto dovrà convincere qualcuno anche a sinistra?
«E infatti avere una sinistra più forte nell’Unione significa fare un programma più di sinistra».

Un’alleanza di sinistra-centro?
«C’è un pezzo di mondo cattolico molto più vicino e sensibile ai problemi sociali di una parte della sinistra».

Dove trovare i soldi per finanziare l’economia?
«Inizierei prendendoli dal ministero della difesa».

Dove investire?
«Ad esempio nella scuola e nella ricerca, per competere nel mercato globale».

La sfida del terrorismo si aggrava. Resta la richiesta del ritiro dall’Irak?
«Tutta l’Unione deve stare ferma nella richiesta».

Cosa pensa della scelta francese di bloccare gli accordi di Schengen?
«Non serve a nulla. Non si risolve così il problema?

E come?
«Questo terrorismo è nato dopo la prima guerra del Golfo. L’Irak conferma che la guerra contribuisce».

Il ministro Pisanu ha proposto misure speciali, quasi tutto il Centrosinistra ha apprezzato, lei no. Perché?
«L’ho trovato deludente».

In che cosa?
«Capisco che in pubblico certe cose si debbano omettere, ma parlare di poliziotti di quartiere mi sembra poco».

Cosa si aspettava?
«Un potente investimento in prevenzione. L’intelligence è l’unica vera difesa».

E la proposta di utilizzare l’esercito.
«La militarizzazione delle città è impossibile, gli obiettivi dei terroristi sono troppi».

Basterà l’intelligence?
«No. Va cambiata la politica estera».

Come?
«L’Italia è sempre stata alleata degli Stati Uniti ma conteporaneamente amica dei Paesi arabi. Il governo Berlusconi ha dilapidato questo patrimonio di rapporti politici, culturali, economici, interreligiosi».

E la colpa maggiore del premier?
«Non certo l’unica. Quando dice che la civiltà occidentale è superiore e va in guerra al seguito degli Stati Uniti mette a repentaglio la vita degli italiani».

Lei è stato ministro della Giustizia.
«Ma quando c’ero io i magistrati non scioperavano».

Sciopero giusto?
«Sacrosanto. L’indipendenza dei giudici è una garanzia per i cittadini».

Al di là del merito della protesta, c’è una tesi secondo cui i magistrati, per il ruolo costituzionale, non dovrebbero scioperare.
«La magistratura, è vero, è un ordine a se stante, ma è anche un segmento della
società e lo sciopero è un’arma legittima per tutti».

A prescindere dalle motivazioni?
«Sarei contrario se scioperassero per l’aumento di stipendio, è encomiabile che lo facciano per difendere la Costituzione».

Ed eccoci alla Sardegna. Il Pdci sostiene la giunta Soru. Che giudizio dà?
«Positivo».

Cosa la convince di più?
«Soru rappresenta una speranza di riscatto perché ha iniziato battaglie di moralità, risanamento, lotta agli sprechi e alle clientele, di dignità contro le servitù militari».

Lei ha iniziato a fare politica a Cagliari nel Pci.
«Per la verità un po’ prima, al liceo Dettori, nel purtroppo lontano 1969».

L’autunno caldo.
«Partecipai ai primi collettivi studenteschi, gruppi più o meno a sinistra del Pci».

E nel partito?
«Nel ’74, l’anno della maturità, ho aderito alla federazione giovanile, di cui sono diventato segretario nel ’78».

Quali erano i suoi leader che l’hanno aiutata?
«La federazione di Cagliari e il regionale del Pci erano pieni, allora, di grandi dirigenti e grandi intelligenze».

La figura di riferimento?
«Come per tanti, e non solo perché sardo, era Enrico Berlinguer».

Lei continua a celebrarlo, più di altri nei Ds.
«Era un comunista, ha avuto il coraggio di innovare e ha fatto benissimo a farlo».

Ma quando il Pci ha deciso di cambiare lei ha detto no. Perchè?
«Non condividevo la scelta di Occhetto di rifare un partito con tale pressapochismo».

Alla luce di tutto quello che è successo, si è pentito di non aver aderito al Pds ma al Prc?
«No. Poi io non ero per la scissione. Al congresso del 1991 volevamo la confederrazione della sinistra, per continuare a stare tutti assieme, comunisti e no».

A chi attribuisce la responsabilità del rifiuto?
«Occhetto pensava che il Prc avrebbe preso l’uno per cento».

Qualcuno dice che nella sua scelta di non aderire al Pds pesarono non buoni rapporti a Cagliari. E’ vero?
«No. Ho sempre discusso, litigato mai. Oggi sono in buoni rapporti personali anche con Bertinotti».

Con il quale ha consumato la sua seconda scissione.
«Ho lasciato il Prc per difendere il governo Prodi».

E oggi con Bertinotti vi ritrovate alleati.
«Il Prc, rientrando, ha implicitamente riconosciuto l’errore».

Tornando a Cagliari come consigliere provinciale ha incontrato i vecchi compagni. Chi in particolare?
«Tanti. Cito il mio presidente Graziano Milia, che era nella segreteria giovanile con me. E l’assessore Carlo Salis, il mio primo segretario».

Un settimanale l’ha indicata come uno dei principali collezionisti di libri
antichi. E’ così?

«Collezionista no, il collezionista i libri non li legge, li tiene come i francobolli».

Cultore va meglio?
«E’ il mio mestiere. Insegno diritto romano, mi occupo di tradizioni bibliografiche, con la passione dei libri».

Quanti ne ha?
«Più di diecimila».

Tutti in casa?
«Per colpa dei libri sono stato costretto a traslocare numerose volte».

Acquisti o regali?
«Al novantacinque per cento li compro».

Chi le regala gli altri?
«I miei colleghi dell’università: io mando i miei lavori e ricevo i loro».

E le case editrici?
«No».

Dopo Cagliari, ora insegna alla Sapienza. Perché non è in aspettativa?
«Mi piace tenere i corsi, fare gli esami, discutere le tesi. Pur di farlo, lo faccio gratis da quando sono deputato».

Insegnare aiuta un politico?
«Ogni anno vedi una generazione diversa di ragazzi e capisci il paese reale. E non pensi solo alla politica quotidiana, spesso banalizzante».