Mario Segni (2010)

«Con i referendum l’Italia è cresciuta,
ma ora con Berlusconi...»

“Sono orgoglioso dei risultati raggiunti,
politica e istituzioni
funzionano meglio di prima”

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Mario Segni, il leader che ha legato il proprio nome al movimento referendario che con l’elezione diretta di sindaci e presidenti di Regioni e Province ha rinnovato la politica italiana, presenta domani a Sassari (Camera di commercio, 18.30) il suo libro sui vent’anni di battaglie: «Niente di personale, solo cambiare l’Italia». Al dibattito anche Antonello Mattone e Antonio Serra.

— Mario Segni, con il libro traccia un bilancio di vent’anni. Soddisfatto?
«Direi orgoglioso».

— Tra i suoi ci sono però molti delusi.
«Il libro lo avrei voluto intitolare al referendario ignoto, per dire ai tanti che si sono impegnati che ne è valsa la pena».

— E perché ne è valsa la pena?
«Perché abbiamo impresso la svolta storica più importante degli ultimi decenni».

— La delusione è spiegabile col fatto che i risultati non sono quelli sperati?
«Gli autori dei processi storici soffrono per il mancato successo completo. E’ capitato persino a Mazzini».

— Teme una controriforma?
«E’ la cosa che temo di più».

— Chi ha aiutato di più il movimento referendario?
«L’appoggio popolare».

— C’è ancora la voglia di proseguire?
«No, non c’è più».

— Eppure si parla di battaglie in preparazione.
«In una fascia minoritaria c’è ancora consapevolezza e decisione di fare».

— Negli altri prevale la rassegnazione?
«No, è una fase storica che è finita».

— E’ finita la stagione referendaria?
«In questa fase il referendum è stato ucciso dalla classe politica».

— E’ consideato uno strumento superato?
«Invece è più importante che mai, in una democrazia giovane e in un sistema di governi forti il referendum va tutelato».

— Cosa le piace di più delle conquiste fatte?
«La svolta nei Comuni. A Sassari si vota a fine maggio e la sera si conoscerà il vincitore. Una volta il sindaco era eletto dal consiglio comunale che poi passava la metà del tempo a cercare di cacciarlo. Mediamente ci riusciva dopo un anno».

— Lei è sempre favorevole all’elezione diretta del premier?
«Sì, l’elezione diretta ha cambiato il modo di fare politica, ha migliorato i Comuni e sta migliorando le Regioni. Perché non farlo anche a livello nazionale?».

— Forse perché la proposta del Sindaco d’Italia, come la chiama lei, viene ritenuta un po’ pericolosa.
«Lo si pensa perché oggi, dall’altra parte della medaglia, c’è la morte del Parlamento».

— Provocata da che cosa?
«Dalla sciagurata legge delle liste bloccate».

— Lei è presidenzialista e difende il Parlamento?
«Proprio da presidenzialista dico che con un governo forte c’è bisogno di un Parlamento forte, non morto».

— E la battaglia contro la partitocrazia?
«Ora è pure peggio, c’è una forma di centralismo democratico realizzata dalla destra italiana con il consenso tacito della sinistra».

— Anche la sinistra?
«Nei due anni di governo non ha cambiato la legge sulle liste bloccate».

— Eppure nei cittadini fa scandalo.
«Non è nemmeno immaginabile che Obama provi ad assumere il potere di nomina dei membri del Senato e del Congresso».

— E sulla riforma sanitaria ha dovuto faticare parecchio.
«Ha dovuto convincere i democratici uno a uno, e una parte non l’ha convinta. Perché gli eletti rispondono agli elettori e non al presidente. E questo il vero contropotere».

— Da noi invece i parlamentari non hanno questa possibilità?
«Col sistena uninominale erano eletti nel collegio e rispondevano agli elettori: se il candidato era sbagliato veniva bocciato. Oggi rispondono ai signori delle liste».

— Lei si riconosce nella parte moderata e liberale. Cosa le rimprovera?
«Di essere stata poco moderata e poco liberale. Si è fatta trascinare dalla Lega e con le leggi ad personam e il conflitto di interessi ha minato le fondamenta dello Stato di diritto».

— Cosa c’è da fare?
«Cambiare la Costituzione per arrivare al Sindaco d’Italia».

— Ottimista?
«Esprimo tutto il mio pessimismo, questa riforma non lo vuole nessuno».

— Perché?
«La Lega perché è interessata solo al federalismo fiscale, Berlusconi vuole il rafforzamento del proprio potere personale, la sinistra si è convinta che siamo alla vigilia di una svolta autoritaria».

— Condivide l’allarme?
«Non siamo alla vigilia di nulla, siamo semplicemente nel caos».

— Cosa dovrebbe fare la sinistra?
«Se dicesse sì al presidenzialismo e alla riforma del Parlamento aiuterebbero l’Italia a uscire dal pantano».

— Lei si fiderebbe di Berlusconi?
«L’Italia e le sue istituzioni sono più forti di lui».

— Davvero non teme una svolta autoritaria?
«No, non ci credo. Credo nei guasti che Berlusconi ha fatto, colpendo l’idea di legalità e convincendo gli italiani che le regole non servono».

— Cosa pensa dello scontro tra Berlusconi e Fini?
«Ho sentito Fini da Lucia Annunziata, la sua mezz’ora è stata perfetta: una posizione politica di minoranza dentro un grande partito, che fa la battaglia non uscendo, ma affermando un’idea diversa».

— Molti dicono che Fini ha sbagliato.
«Ha sbagliato a dare l’idea di uscire verso un centro pasticciato, questo sì».

— Lei preferisce che resti nel Pdl?
«Sarebbe un modo per democratizzare il partito».

— Lo scontro pubblico non l’ha scandalizzata?
«No. Viva la dialettica».

— Ne avrà viste nella Dc.
«E come no».

— Si stava peggio?
«No, è peggio oggi».

— I partiti hanno ancora un ruolo?
«Se saranno diversi. Peraltro c’è la Lega che prosperando con un metodo leninista».

— Funziona ancora?
«Solo nella fase di espansione. I problemi verranno dopo».

— Dicono che sia il partito più radicato.
«Il radicamento non è più tutto come prima».

— La Lega vince sul secessionismo?
«A me sembra che abbia temperato questa spinta, i voti li prende sulla paura dell’immigrazione».

— Lei dice di non temere Berlusconi ma nel libro conferma critiche molto dure.
«La vittoria di Berlusconi è di aver fatto dimenticare agli italiani che esiste il conflitto di interessi».

— Il degrado morale?
«Sì, il crollo civile che tra le sue conseguenze ha anche il dilagare della curruzione».

— Che cosa fare?
«Per il momento nulla. La spinta referendaria può rinascere se nel Paese rinasce una passione, se cambia il clima politico».

— Perché gli elettori finiscono nell’astensione?
«Non ci sono proposte adeguate».

— Trova ancora sponde a sinistra come all’avvio del movimento referendario?
«Molto più limitata. Occhetto fu determinante nella prima fase, poi la sinistra riformista, con Prodi, Veltroni, Barbera, Parisi, fu decisiva».

— E oggi il Pd?
«Con Bersani è stato conquistato dalla sinistra post comunista, proporzionalista, partitocratica, che illudendosi di vincere vuole tornare indietro di vent’anni».

— Cosa pensa delle manovre centriste?
«Non vedo né spazio né utilità. Casini è stato costretto, ma spero che rientri nel centrodestra e ne assuma la guida per dargli una linea moderata e europeista».