Oscar Luigi Scalfaro


da La Nuova Sardegna
14 marzo 2003

«La guerra preventiva
è una follia»


L’ex capo dello Stato: «La Costituzione vieta all’Italia di partecipare»

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Oscar Luigi Scalfaro partecipa oggi pomeriggio (dalle ore 17 nella sala dei congressi della fiera di Cagliari) al convegno organizzato dal movimento Rinascimento sardo coordinato dall’ex presidente della Regione Federico Palomba. Si parlerà della difesa della Costituzione dalle ricorrenti minacce e anche del caso Iraq, come anticipa in questa intervista l’ex capo dello Stato con il suo fermo «no» alla guerra preventiva, che egli giudica «una follia». Scalfaro parla anche del suo particolare rapporto con la Sardegna: è stato l’inquilino del Quirinale che ha compiuto più visite nell’isola.

Presidente, il convegno ha un titolo eloquente: La Costituzione vive.
«Un tema che mi è particolarmente caro. Ho avuto il privilegio, non il merito, di vivere l’avventura dell’Assemblea costituente. Ero magistrato da poco tempo. Il presidente del tribunale disse che non c’era incompatibilità tra la mia funzione e l’incarico di dirigente di Azione cattolica. Io, sconosciuto, fui eletto grazie a quella grande organizzazione».

Qual è il significato della visita per il primo anno di Rinascimento sardo?
«Ho un rapporto di amicizia e stima con l’ex presidente Federico Palomba, magistrato minorile con una preparazione non comune e un’esperienza di prima grandezza, dimostrata anche in tanti congressi internazionali per aver studiato la materia con intelletto e amore».

Lei pensa che i fondamentali diritti costituzionali - dalla libertà di stampa alla indipendenza della magistratura - siano minacciati?
«Non griderei all’allarme, ma mi permetterei di dire, a tutti, di star con gli occhi aperti».

Perché sottolinea a tutti?
«La Costituzione è affidata ai garanti, il primo è il presidente della Repubblica, poi ci sono il Parlamento dato che siamo una Repubblica parlamentare, definizione che io amo e difendo, la Corte costituzionale, il governo, la magistratura. Ma in un regime democratico la Costituzione è affidata a ogni cittadino».

Da qui i suoi inviti a”conoscerla e amarla”?
«Bisogna sapere e non dimenticare quanto sangue è costata. Lo dico soprattutto negli incontri con i giovani: ragazzi come voi hanno giocato la vita per la libertà di tutti. La gratitudine è un tema che sento molto».

Sono giorni in cui il mondo è in apprensione per il caso Iraq. Lei ha detto”no” alla guerra. Ragioni etiche o politico-giuridiche?
«Ho detto in Senato che a questa guerra, stando così le cose, il mio”no” è assoluto, senza subordinate».

Perché?
«L’articolo 11 della Costituzione consente solo la legittima difesa. Bisogna dimostrare, cioè, che siamo aggrediti o che è aggredito qualcuno dei nostri alleati».

E il concetto di guerra preventiva?
«Non è una questione giuridico, è una follia. Il Vaticano ha detto che una guerra fuori da ogni organizzazione internazionale è un crimine. Non ricordo, in 57 di vita politica, una dichiarazione pubblica di questa pesantezza. Pesante, ritengo, ma chiara e vera».

No alla guerra anche se ci dovesse essere una risoluzione dell’Onu?
«E’ la mia tesi. L’articolo 11 non può essere messo sotto i piedi. E dico: attenti a parlare di desuetudine, perché la si può attaccare malignamente ad altri articoli della Costituzione».

Non va riformata?
«Quando si parla di riforme bisogna avere il coraggio di dire cosa si vuole. Se si dice una cosa e se ne fa un’altra, non è serio, né etico».

Si riferisce allo scontro sulla magistratura?
«Dicono che non la vogliono dividere tra organi giudicanti e organi inquirenti e che vogliono solo distinguere le funzioni. Ma se si mette un concorso di mezzo per passare da un organo all’altro, le distanze sono abissali, cioè si arriva di fatto a dividere le carriere».

Ci sono critiche al governo Berlusconi per l’appiattimento sulla posizioni di Bush. Come conciliare il”no” alla guerra con l’alleanza con gli Stati Uniti?
«L’alleanza è fuori discussione. Ma tra alleati e amici si deve dire chiaramente il proprio pensiero, dire ad esempio: non state facendo bene. Io non sono stato convinto, dopo la terribile tragedia delle torri gemelle, dal fatto che gli Stati Uniti parlassero di guerra. La guerra coinvolge Stati e popoli, che non devono essere coinvolti per azioni di terrorismo. Non si possono mettere in gioco milioni di vite umane per snidare i capi».

Quali conseguenze può avere la divisione degli Stati europei?
«Rischi di ogni tipo. E’ il fatto più grave che viviamo. La scelta della pace fatta da Germania e Francia è buona e bene avrebbe fatto il governo italiano ad agganciarsi».

Grave responsabilità?
«Non dò la prima colpa al governo italiano. Francia e Germania hanno sbagliato a non coinvolgere gli altri Stati europei. E’ stata una ferita. A cui se n’è aggiunta un’altra: le firme, compresa quella del governo italiano, per dimostrare che siamo amici dell’America. Un passo lontano dall’intelligenza politica».

Cosa pensa dei movimenti pacifisti?
«Meglio chiarire bene. Io con quelli che sono andati in piazza dall’Australia all’Europa sono d’accordo perchè ci sono andato anch’io. Le democrazie vivono di partecipazione. Non critico i girotondi. Certo, se durano dieci anni è asilo infantile, ma se svegliano il mondo, batto le mani. Se, invece, le manifestazioni assumono forme anche solo di larvata violenza, dico di no. A Roma non è stata bruciata una bandiera, la cosa splendida è che c’erano genitori e figli con il carrozzino. Una pagina di civiltà, un esercizio di sovranità popolare che nulla toglie alla delega ricevuta dai parlamentari ma che segna una precisa assunzione di responsabilità».

C’erano anche movimenti cattolici.
«Giusto. E lo dico a quei cattolici che talvolta pensano ai fatti loro e si disinteressano della polis, e questo è contro la legge cristiana delle morale e della responsabilità a favore della comunità».

Dal Quirinale lei ha sostenuto alcune importanti vertenze sarde.
«Diverse volte: per la scarsità di acqua, per il problema delle miniere, per il metano».

Un interesse particolare rispetto ad altre regioni?
«Ho sempre avvertito il dovere e l’onore, per qualsiasi parte d’Italia, di servire la comunità, ma per la Sardegna l’ho fatto con una tenerezza accentuata».

Qual è il suo legame con l’isola?
«Sono stato molte volte in Sardegna, prima per ragioni personali, poi in più occasioni per conferenze dell’Azione cattolica e, tra il 1955 e il 1958, da sottosegretario alla Giustizia, per visite nelle carceri».

Qual è il suo ricordo?
«Ho ancora ricordi penosi della situazione del carcere di Buoncammino, ma anche ricordi molto positivi per gli incontri umani».

Può raccontarli?
«C’era, come capellano, un frate francescano che mi disse cose splendide di fra Nicola da Gesturi, oggi Beato, che, quando venni nel 1958, era morto quindici giorni prima. L’opinione pubblica era ancora sotto choc, cinquantamila persone avevano partecipato ai funerali. Visitai la cella dove aveva dormito sempre per terra, mi raccontarono delle sue capacità umili e formidabili di convincimento».

Vacanze in Sardegna?
«Ancora oggi, con mia figlia, trascorriamo qualche giorno di riposo nelle spendire località dell’interno, un ambiente meraviglioso e incontaminato».

Amicizie?
«Tante. Simpatiche e sincere. Ricordo per tutti sua eccellenza Giuseppe Villa Santa, grande procuratore, collega sotto le armi in guerra. E ora mi piace annoverare tra gli amici anche i minatori del Sulcis: tengo ancora la lampada che mi hanno regalato, uomini che hanno sulle spalle una grande fatica e l’amore sconfinato per la loro terra».