Piero Fassino


da La Nuova Sardegna
11 marzo 2007

«Il governo rispetterà i patti»

La Maddalena? Divergenze tecniche, la linea non cambia
Accelerazione sul Partito democratico, apertura ai sardisti

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Piero Fassino è oggi in Sardegna per due manifestazioni. Dalle 9.30 a Cagliari, hotel Mediterraneo, parteciperà al convegno sul «Ruolo della sinistra nella prospettiva del Partito democratico». Parleranno per i Ds anche il segretario regionale Giulio Calvisi e Antonello Cabras, membro della segreteria nazionale. Sono previsti i contributi degli altri due partiti sardi coinvolti nella costituzione del Pd, Francesco Sitzia (Margherita) e il presidente Renato Soru (Progetto Sardegna). Nel pomeriggio il segretario nazionale della Quercia parteciperà al congresso della sezione di Selargius per presentare personalmente la mozione con cui si ricandida alla guida del partito.

— Piero Fassino, la notizia del giorno viene purtroppo dall’Afghanistan. Aumenta la preoccupazione per Daniele Mastrogiacomo.
«Bisogna fare di tutto per restituirlo alla famiglia e al suo giornale, ma ogni iniziativa utile non significa accettare ricatti, le scelte di politica estera non possono essere dettate dai ricatti di nessuno. Bisogna spiegare ai talebani che Mastrogiacomo non è una spia, è un giornalista che fa il suo mestiere».

— Questo caso condizionerà politicamete il voto del Senato?
«Non credo. Nessuno deve strumentalizzare una vicenda così drammmatica. Bisogna tenere distinta la solidarietà alla famiglia, l’impegno di tutti per la liberazione di Mastrogiacomo e le decisioni di politica estera che devono essere assunte dal Parlamento sulla base degli interessi del Paese».

— Veniamo alla sua visita in Sardegna. Uno degli impegni forti del governo Prodi e dei partiti nazionali riguardava il caso La Maddalena. La trattativa tra giunta e governo non ha però sinora portato a un accordo.
«Intanto dico che il rapporto della Regione Sardegna con il governo di Centrosinistra è radicalmente diverso e certamente migliore di quello che c’era con il governo di Centrodestra. E i risultati si vedono».

— Quali sono, per lei, i più significativi?
«Dal 2010 l’80 per cento delle tasse riscosse resteranno in Sardegna, è in atto una discussione per ridurre i disagi dell’insularità, si sta dando corso alla riduzione delle servitù militari in tutti i territori e allo smantellamento della base militare della Maddalena».

— Su questo punto, però, è emersa una difficoltà non da poco.
«I colloqui tecnici hanno registrato diversità di posizioni, ma non c’è un cambiamento di indirizzo politico. La nostra volontà politica è di restituire l’arcipelago alla popolazione per garantire sviluppo economico e sociale».

— A Cagliari e Selargius lei parlerà del Partito democratico. Alla vigilia la maggioranza del partito in Sardegna ha ribadito l’esigenza di un Partito democratico sardo autonomo. E’ d’accordo?
«E’ un’ipotesi su cui riflettere, per noi Ds è già così, in Sardegna il partito è autonomo ed ha con noi un rapporto federativo. Nel processo, tra l’altro, non c’è soltanto la presenza dei partiti nazionali ma anche di partiti sardisti come Progetto Sardegna di Renato Soru. Mi sembra quindi ragionevole partire dalle specificità».

— Si aprirà anche ad altre forze autonomiste?
«Me lo auguro. Il Psd’Az è da sempre una componente del campo progressista sardo e italiano, sarebbe una buona cosa riuscire a coinvolgerlo. Naturalmente dipende in primo luogo dal Psd’Az».

— Una aspettativa rimarcata dai Ds sardi è quella del rinnovamento dei gruppi dirigenti. La nascita del Pd lo favorirà?
«E’ chiaro che il partito dovrà essere nuovo nella forma organizzativa e dovrà utilizzare le primarie come mezzo di selezione proprio per promuovere una classe dirigente più giovane».

— C’è chi critica il fatto che al centro del progetto non ci sia il mondo del lavoro. Cosa risponde?
«Ma sarà un grande partito del lavoro. E’ questo il suo dna. Il riformismo rosso e bianco nasce nell’Ottocento per rappresentare e tutelare il mondo del lavoro. Ora, nel mondo globalizzato, il Partito democratico dovrà affronterà i problemi nuovi e trovare risposte inedite, partendo sempre dalla difesa dei diritti dei lavoratori».

— C’è una nuova polemica in Sardegna sul rapporto con il presidente della Regione, sulle tendenze autoritarie, sul ruolo dei partiti.
«Non è un problema sardo, esiste in ogni Regione, in ogni Provincia e in ogni Comune. L’elezione diretta pone l’esigenza nuova di trovare un equilibrio tra il ruolo del presidente o del sindaco e quello della giunta e della maggioranza. E’ un problema oggettivo, non legato a qualcuno».

— Il suo giudizio su Soru?
«L’esperienza è positiva e proprio questo consente di trovare le soluzione giuste».

— Senza mettere in discussione il presidenzialismo?
«I cittadini hanno dimostrata di apprezzare l’elezione diretta, le giunte sono più stabili. Naturalmente si tratta di costruire le condizioni perché la forza che l’elezione diretta assicura al presidente sia combinata con la collegialità».

— La novità di oggi è la sua forte accelerazione sul Partito democratico. Perché questa scelta?
«La scadenza di massima fissata con Prodi era inizialmente quella del 2009. Ma i primi mesi del percorso fanno registrare un interesse forte, una sollecitazione a fare più rapidamente».

— Anche dopo la crisi del governo?
«Anche per la crisi, che ci ha consigliato di accelerare. Non nell’interesse di due partiti, ma del Paese».

— Entro aprile si conclude la stagione dei congressi di Ds e Margherita. Quali saranno le altre tappe?
«Subito dopo si deve far partire il percorso costituente del Partito democratico aprendo una stagione di discussione sul manifesto e formando una rete di comitati promotori del Pd in tutti i Comuni».

— Quando l’assemblea costituente?
«Va convocata per l’autunno del 2007, deve approvare manifesto e statuto. E a quel punto bisogna fondare le organizzazioni di base e concludere il processo con il congresso costitutivo tra marzo e aprile 2008».

— L’accelerazione è compatibile con l’esigenza di chiarire con la Margherita i problemi sulla collocazione internazionale?
«E’ una discussione aperta, è possibile costruire soluzioni ragionevoli. Il punto di partenza è questo: il Partito democratico vuole lavorare perché in Europa si realizzi una più vasta unità delle forze riformiste».

— Quali?
«Per il novanta per cento sono di ispirazione socialista e socialdemocratica».

— E allora?
«Se vuoi unire cento, non puoi prescindere da novanta. Per unire bisogna lavorare in un campo più aperto che aggreghi anche quei settori che provengono da una cultura riformista diversa e che possa vedere quindi l’accordo dei Ds e della Margherita. E’ un ragionamento politico, non un’adesione ideologica».

— Un progetto solo con la Margherita?
«Vogliamo costruire un Partito democratico grande, largo, che unifichi le diverse culture riformiste italiane. E quindi c’è bisogno anche della presenza di coloro che vengono dalla tradizione socialista e repubblicana, coloro che, in questi anni, si sono riconosciuti nelle esperienze ambientaliste. Abbiamo bisogno anche di parlare a un più vasto popolo di donne e di uomini che non necessariamente ha un’appartenenza politica, ma che in questi anni si è riconosciuto nell’esperienza dell’Ulivo, ha partecipato alle primarie e si riconosce nel progetto».

— La preoccupa l’ipotesi della scissione di Mussi?
«Francamente non la dò per scontata e mi auguro che non avvenga, sarebbe una scelta poco fondata».

— Perché?
«In un grande partito che vede insieme diverse culture c’è lo spazio per una corrente di sinistra. Del resto, qual è l’ostacolo che impedirebbe a Mussi di guidarla nel nuovo partito visto che la guida nei Ds?».

— Dice che non ci sarebbero più i valori della sinistra.
«Il Partito Democratico non rappresenta la fine dei valori della sinistra ma è la forma con cui facciamo vivere tali valori in una società dinamica».

— E’ possibile un accordo?
«Mussi ha chiesto il voto segreto e lo ha avuto. La regola, in questi casi, è che si accetti la decisione, soprattutto se viene dall’80 per cento del partito».

— E’ più facile il dialogo con Angius?
«La mozione di Angius non nega l’esigenza del Pd, propone tempi più lunghi. Io, come le ho detto, penso invece che bisogna accelerare. Viviamo in una società in rapida trasformazione, non siamo noi a dettare i tempi».

— Ci sono state nuove polemiche sulla manifestazione per i Dico.
«E’ stata una manifestazione giusta per affermare la irrinunciabilità dei diritti individuali, la necessità di riconoscere i diritti di ogni persona, quali che siano le sue scelte di vita, le relazioni interpersonali,

— Cosa dice a chi critica la proposta dei Dico?
«Questi temi vanno affrontati in modo equilibrato e giusto. Il disegno di legge è equilibrato e giusto perché riconosce diritti a coloro che hanno scelto una convivenza di fatto, omosessuale o eterosessuale, senza peraltro mettere in discussione l’articolo 29 della Costituzione che riconosce la famiglia fondata sul matrimonio».

— Nuovi problemi ci sono anche sulla legge elettorale. La sua apertura verso il referendum ha provocato reazioni polemiche. La conferma?
«La priorità è fare una buona legge elettorale e farla in Parlamento. Da qui l’impegno a lavorare per un accordo. Il ricorso al referendum è solo una subordinata».

— Come deve essere la nuova legge?
«Deve garantire ad ogni partito grande, piccolo o medio, di presentarsi agli elettori e di raccogliere il consenso che gli elettori gli daranno. E al tempo stesso deve avere meccanismi, come il premio di maggioranza, che consentono a chi vince di avere una maggioranza stabile che permetta di governare per cinque anni».

— Per evitare i problemi come quello del Centrosinistra al Senato?
«Vorrei sottolineare che la fragilità della maggioranza al Senato non è espressione di una fragilità del Centrosinistra, ma è la conseguenza di una brutta legge elettorale fatta dal Centrodestra unicamente per rendere più difficile la governabilità».