Antonio Pitea

da La Nuova Sardegna
8 febbraio 2009

"La criminalità?
La politica deve
eliminarne le cause"


di Filippo Peretti

CAGLIARI. Antonio Pitea, ex prefetto di Nuoro e prima questore di Sassari e Cagliari, è il numero 2 del listino del Pdl che si apre con il candidato presidente Ugo Cappellacci. Nato in Calabria, Pitea è in Sardegna dal 1968: «Qui mi sono sposato l’anno seguente e ho due figli sardi, qui sono rimasto anziché emigrare verso incarichi istituzionali professionalmente allettanti».

— Antonio Pitea, da prefetto a politico. Perché?
«Esauriti gli obblighi istituzionali mi è parso dovereso fare la scelta, peraltro richiesta, di continuare a impegnarmi per una terra che conosco profondente».

— Chi gliel’ha chiesto?
«Sono vicino a molti uomini politici, non solo per rapporti professionali».

— Ci aveva mai pensato prima?
«Francamente no. Anche se la mia esperienza mi ha avvicinato ai problemi sociali e a chi deve gestirli governando».

— Molti sono rimasti sorpresi della sua scelta a favore del Centrodestra.
«Sorpresa che considero un apprezzamento: significa che la mia attività istituzionale non è stata di parte».

— Perché il Centrodestra?
«Ho accolto, alla fine di un percorso, il progetto di Cappellacci, specie quando propone condivisione e obiettivi semplici e attuabii, con un approccio con la gente fatto di realismo. La gente è stanca di illusioni».

— E’ ottimista?
«Confido che i propositi di Cappellacci troveranno il sostegno della maggioranza dei consiglieri regionali».

— Conosceva Cappellacci prima di questa occasione?
«Sì, ma non come politico».

— E oggi come giudica il Cappellacci politico?
«Sta affrontando una campagna elettorale che gli ha offerto poco tempo per farsi conoscere. Sto apprezzando la semplicità del suo dire e la capacità di “umanizzare” il rapporto elettorale».

— In questi anni ha conosciuto anche Soru.
«Non solo per motivi istituzionali».

— Vi siete frequentati al di fuori degli appuntamenti istituzionali?
«Sì, frequentazioni personali specie nel periodo estivo».

— Come giudica il Soru politico?
«Gli riconosco tante peculiarità, positive e non. Anche lui, come tutti, e parlo di prefetti, magistrati, professionisti, eccetera, non appartiene alla categoria degli angeli e come tutti commette degli errori».

— Può dire di Soru una cosa positiva e una negativa?
«Ha il merito di aver “rivoluzionato” le logiche delle scelte politico-individuali».

— E la cosa negativa?
«Credo che sia sbagliato contare sull’asservimento acritico del “capo” e che occorra invece circondarsi di grandi professionalità che talvolta possono fare ombra, ma alla lunga producono buoni atti di governo».

— Lo sa che c’è chi propone di abolire le prefetture.
«E’ un’ipotesi inattuabile. Chi lo fa non conosce il ruolo che prefetti, e anche i questori, svolgono per analizzare le patologie sociali - e solo da ultime quelle criminogene - per fornire al governo, con relazioni semestrali, informazioni puntuali da cui far scaturire gli interventi politico-istituzionali».

— Chi sceglie tra i tanti ministri dell’Interno che ha conosciuto?
«Confesso un particolare affetto per il ministro Pisanu, però devo precisare che tutti hanno svolto la funzione con altissimo senso dello Stato. Forse a uno solo non attribuisco grande stima».

— Chi è?
«Non si può dire».

— Tra i ministri c’è stato anche Napolitano.
«Una figura eccezionale come gli altri che ho indicato».

— Maroni ha detto che bisogna essere più cattivi con gli immigrati clandestini. Condivide?
«La politica sull’immigraione merita una maggiore obiettività e serenità. Il fenomeno, che va regolamentato senza ipocrisie e sottovalutazioni, non è omogeneo e riguarda etnie diverse con problemi contrapposti a cui bisogna dare risposte differenziate».

— Quali ipocrisie?
«E’ sbagliato pensare che sia un fatto italiano. E’ un problema europeo, non possiamo essere lasciati soli».

— Non esiste un aspetto umanitario?
«Ha grande influenza, ma non deve condizionare la razionalità degli interventi».

— Da politico continuerà a occuparsi di criminalità?
«Attenzione, però: gli uomini non nascono per delinquere. Alla base ci sono sempre ragioni sociali ed economiche».

— Che fare?
«La politica deve dare risposte sociali per prevenire la criminalità. La fase della repressione è la conferma che l’intervento politico-sociale non ha avuto effetti».

— Quali sono le cause principali?
«Stati di disagio, ritardi delle risposte sociali, talvolta ritardi di risposte giudiziarie. Tanti episodi hanno origine dall’incapacità anche della giustizia civile di dare risposte».

— La crisi generale si aggrava. Come affrontarla?
«Le difficoltà presuppongono scelte coraggiose. Penso al mondo agropastorale, al turismo, all’artigianato. Bisogna puntare sulla defiscalizzazione dei prodotti locali he soffrono la concorrenza di Paesi che non conoscono le tutele del lavoro e dei minori. E devono essere ridotti i passaggi dal produttore al consumatore».

— C’è l’impresa al centro della politica di sviluppo?
«Sì, ma soprattutto il prodotto. Non è utile sostenere imprese che non trovano mercato. Il caso del contratto d’area di Ottana è sintomatico: un mare di soldi a imprese che oggi si barcamenano tra inchieste giudiziarie e richieste di revoca dei fondi».

— Lei ha detto che la crisi deve suggerire a chi ha avuto funzioni pubbliche di impegnarsi personalmente.
«Sì, la politica deve riconquistare figure di qualità».

— E il ruolo dei partiti?
«Spesso danno un’impressione che a torto o a ragione la gente non gradisce più. Al posto delle logiche di potere servono programmi concreti e fattibili. E’ l’unico modo per mantenere il legame tra chi governa e chi è governato».